Non chiamateli Case History, ma Storie

Non chiamateli Case History, ma Storie
Se da quell’auditorium le parole del docente non si fossero trasformate in un entusiasmante racconto, Mivar, sarebbe rimasto uno dei tanti marchi citati durante un corso di strategie d’impresa. Allo stesso modo, se il mio primo capo non mi avesse fatto vedere come deve essere esposto il portfolio dei lavori realizzati, non credo che sarei riuscito a trasmettere le passioni e le professionalità che stavano dietro quei lavori. Di esempi ne avrei diversi da portare. Sono cambiati i tempi, le dinamiche economiche, gli strumenti di comunicazione, ma il problema di base rimane lo stesso: trasferire all’interlocutore quanto di buono si è fatto.
 
Per capire questo è necessario scardinare le logiche analitiche che stanno dietro ad un lavoro eseguito, trasportando il tutto su un piano di narrazione in grado di rendere memorabile una o più specificità di ciò che la propria azienda riesce a realizzare. È così che i numeri diventano valori, le immagini si trasformano in ricordi e le descrizioni assomigliano sempre più a immersive trame. Perché è questo il punto. Rendere partecipe un soggetto estraneo ad una storia la quale per chi ha partecipato alla sua stesura sembra scontata, ma che tanto scontata non è.
 
Quante volte capita che in un’azienda al termine di un lavoro si passi immediatamente ad un successivo traguardo senza prima aver tracciato (e festeggiato) il traguardo raggiunto? È quasi una consuetudine, ma è un grave errore. Perché questo può accompagnare nel dimenticatoio quanto di valore si è realizzato, oltre che generare una continua focalizzazione dell’intera organizzazione aziendale sulle incertezze del futuro, a scapito di gratificazioni di quanto d’importante si è già raggiunto.
 
I risultati sono un patrimonio. Sono la dimostrazione di ciò che si è stato in grado di fare. Sono le solide basi di ciò che di nuovo si potrà continuare a fare. Certo non è detto che un’azienda riesca a prendere nuovi lavori solo sulla base di referenze storiche. Però sta di fatto che se queste referenze vengono comunicate nel modo più efficace possono contribuire nella valutazione o meno di tale scelta. Spesso alcuni lavori passati, stesi sotto forma di storie, possono innescare in un soggetto esterno anche nuovi stimoli che lui stesso vorrebbe sperimentare. Questo al di là di brief generici o richieste di progetti pre-confezionati.
 
Infine c’è un ultimo punto che sempre più sta facendo da discriminante in ambito aziendale. Si tratta della necessità di ben trasferire le esperienze che i consumatori hanno vissuto utilizzando un proprio prodotto o servizio. Questi feedback hanno un valore inestimabile. Da un lato permettono di affinare il prodotto/servizio: una critica, un’osservazione, devono essere gli stimoli per un miglioramento continuo. Dall’altro se si riesce a mettere sotto forma di storie queste testimonianze, si può condividere quanto più di eccezionale e unica è l’esperienza d’uso. E condividere una storia vale molto di più dell’esposizione di un case history. Avete dubbi? Provate a fare mente locale sulle vostre personali esperienze.