Storytelling non è fiction

Così almeno è come lo intendo io.
 
C’è un elemento che fa da discriminante tra lo storytelling e la fiction. Questo si chiama autenticità. Lo storytelling lo si presenta come una modalità persuasiva che adotta il racconto per intercettare la sensibilità dei suoi fruitori, in primis i clienti. Duranti i miei incontri spesso mi viene posto proprio l’interrogativo legato alla veridicità o meno dei racconti che si fanno portatori con modalità diverse delle aziende con i propri brand.
 
Come al solito la verità sta nel mezzo e proprio l’autenticità è il garante di un buon percorso di Corporate Storytelling. È chiaro che la narrazione d’impresa è une delle tecniche più in auge per trasferire cosa c’è dietro a un prodotto, un servizio o un’organizzazione aziendale. Le sue potenzialità sono enormi. Questo lo sa bene pure la politica oltre che il giornalismo. Lo storytelling è però uno strumento, non il fine. Quindi come tale sta a chi lo utilizza farne più o meno buon uso. L’applicazione della tecnica narrativa alle diverse funzioni aziendali è di per sé qualcosa che richiede la definizione di un obiettivo e la strutturazione di un processo di lavoro al fine di trovare la soluzione migliore da adottare. E ancora far leva sulle componenti emotive di chi legge, di chi guarda, di chi ascolta una storia è l’elemento basilare. Recenti studi, anche legati all’e-commerce, confermano come gli utenti online siano più attratti da aspetti legati alle passioni che a informative tecniche. “Far vivere delle esperienze” è il motto e lo storytelling in questo senso è un ottimo coadiuvante. Ma la sua funzione non si esaurisce lì. Al di là che quando si parla di storytelling si fa quasi esclusivamente riferimento alla comunicazione esterna e non ai suoi molteplici utilizzi aziendali (come supporto alle Risorse Umane o alla Direzione d’Impresa ad esempio), e poi ci si sofferma più facilmente sui suoi utilizzi “discutibili” che non sugli effetti positivi che può apportare all’interno di un’organizzazione aziendale.
 
Capita anche a me di concludere l’excursus legato alla nascita e l’origine dello storytelling facendo riferimento alle fiabe. Ma proprio da questo concetto poi riparto per mostrare la differenza tra Storytelling e Corporate Storytelling. Ed è proprio addentrandomi su questo secondo aspetto che non manco di sottolineare ripetutamente qual è il vero protagonista di un progetto di Corporate Storytelling: l’autenticità. Senza di questa, a mio avviso, non è possibile procedere a un buon lavoro di narrazione d’impresa. È chiaro che c’è una soggettiva che interpreta una realtà. Ma è altrettanto chiaro che la fiction è tutt’altra cosa.
 
Forse il vero problema, sempre che esista, sta nella nostra capacità di scindere ciò che è reale da ciò che non lo è. Certo che questo risulta sempre più difficile dal momento che si passa dalla visione di straordinarie serie TV a spazi giornalistici contenenti medesimi contenuti (dalla fiction alla realtà) e dove si utilizza sempre più spesso la narrazione per informare. Sta alla nostra capacità intellettiva distinguere le due cose.
 
In un’era dove alcuni pensano che la vera vita passi per i Social Network non è semplice. Le implicazioni e le stesse complicazioni psico/socio/culturali sono all’ordine del giorno. Famoso è quel video che mostra “il prima e il dopo” selfie di una coppia di fidanzati. Si mettono in posa versione Giulietta e Romeo per lo scatto, per poi riprendere la lite che avevano già iniziato.
 
Comunque sia il Corporate Storytelling è una metodologia al servizio delle aziende. Non può essere “puro”, ma alle stesso tempo deve essere autentico. Se così non fosse faremo prima a raccontare favole, mentre la direzione è quella di narrare piccole/grandi storie d’imprese attraverso un racconto che possa far emergere il vero valore che sta dietro un’azienda. E ancora una volta questo valore non può che essere il capitale umano.