HBI, la storia di un incontro che ha trasformato le buone intenzioni in concrete azioni

Le storie sono fatte di incontri. Così com’è la vita. Alcuni di essi perdurano del tempo, altri ci accompagnano per un periodo limitato. Ciò che importa però è cosa scaturisce da questi incontri. Quello che vi racconto oggi potrebbe apparire come uno di quegli incontri marginali, ma così non è stato per i protagonisti e forse un po’ per tutti noi. Per darci una speranza. Per darci un segno tangibile che qualcosa d’importante sta per accadere.
Stiamo parlando di temi che ci riguardano. Perché quando si citano termini come sostenibilità, benessere, ma pure innovazione e start-up, il rischio che tutto ciò si limiti a degli enunciati da comunicato stampa è elevato. Non in questo caso, dal momento che siamo andati alle origini di quell’incontro e al perché poi si è fatto ciò che si sta facendo.
Siamo in terra trevigiana, l’anno è il 2016 e quando Renato Pavanetto, imprenditore e CEO di Carretta, vero e proprio gioiellino nell’ambito dell’ingegneria meccatronica incontra Daniele Basso, ingegnere e ricercatore presso l’Università di Bolzano, la fermata futuro sembra essere giunta. Un incontro tanto casuale il loro, quanto fosse desiderato da entrambi a loro rispettiva insaputa. Casuale perché Renato, all’epoca rappresentante della Confartigianato locale è stato intercettato all’ultimo minuto per presenziare a questa inaugurazione ove il nostro ing. Basso era presente. Desiderata, perché le affinità elettive prima o poi sono destinate ad incontrarsi.

Renato Pavanetto e Daniele Basso | HBI

Renato Pavanetto e Daniele Basso, co-founder HBI


Le affinità in questione sono certamente legate a un saper fare che li accomuna, il tema ingegneristico, ma ancor prima su una visione di fare le cose che abbia un impatto positivo in termini sociali ed ambientali. Nessuna dietrologia o falsi populismi, ma una volontà comune, per quanto possibile dalle loro competenze, di fare un qualcosa a favore degli altri e delle generazioni che succederanno. Il famoso “lasciar un segno” sia per Renato sia per Daniele va in un’unica direzione: prendersi cura delle persone. Tutto questo in che modo? Anche qui la risposta è stata alquanto scontata se pur poco attuata: creare veramente un ponte virtuoso tra l’università e l’impresa, la ricerca e la sua applicazione, la start-up come modello culturale e di innovazione e il piano strategico di attuazione di una visione imprenditoriale come messa a terra delle idee.
Da quell’incontro passano pochi mesi. Nell’ottobre dello stesso anno viene fondata HBI, start-up innovativa che mette insieme le competenze di uno e dell’altro per la realizzazione di tecnologie innovative per l’implementazione dell’economia circolare e della sostenibilità. Il loro progetto si dimostra fin da subito particolarmente interessante. Vince una serie di premi nazionali ed internazionali, grazie al forte spirito di innovazione insito in esso, ma è ciò che accade dopo che rende questa storia un esempio di rilievo di ciò che può accadere quando si mette insieme l’eccellenza di un’imprenditorialità visionaria (e coraggiosa) e l’inestimabile valore della ricerca accademica italiana.
In pochi anni Daniele Basso e Renato Pavanetto insieme alla società Carretta, diventano un punto strategico di riferimento nell’ambito della progettazione di soluzioni industriali per l’implementazione dell’economia circolare. Sviluppano una serie di brevetti a carattere internazionale. Costruiscono durature collaborazioni con il Politecnico di Milano, l’ENEA e diventano partner della Piattaforma Nazionale del Fosforo, promossa dal Ministero dell’Ambiente. HBI proprio per la visione congiunta di Daniele e Renato non si limitano a fornire tecnologia, ma fin da subito affiancano altre aziende che vogliono fare quel salto “culturale” per pensare e fare in chiave green.
Una volta un caro amico mi disse: “Un Paese che non ha una chiara politica sui rifiuti non può avere futuro”. Questa affermazione me la faceva diversi anni fa, quando il tema della transazione ecologica non era una priorità sociale/economica/politica come oggi e soprattutto il fare impresa per molti era decisamente slegato dal tema sostenibilità. Per molti versi l’incontro tra Renato Pavanetto e Daniele Basso ha anticipato questi tempi. Forse per la loro sensibilità. Forse per una visione molto ben più ampia sul significato di intraprendere un qualcosa che possa avere una positiva ricaduta sui singoli, sulle comunità, su interi Paesi.
La tecnologia da essi brevettata è in grado di trasformare un rifiuto come i fanghi di depurazione (per i quali, tra l’altro, l’UE ha aperto una serie di procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese) in materiali rinnovabili nella completa assenza delle emissioni e degli impatti ambientali che tutt’ora caratterizzano la maggior parte delle soluzioni tecnologiche disponibili. Quello che HBI è riuscita a fare è far sì che un comune depuratore delle acque diventi una bioraffineria poligenerativa con una riduzione fino al 90% del materiale da avviare a smaltimento finale. I benefici di tutto ciò: riduzione dei costi di smaltimento, recupero di materiali ad alto valore aggiunto, produzione di energia pulita. Punto, partita, incontro.
La storia finisce qui? No, possiamo dire che è solo all’inizio. Intanto c’è un’importante e recente novità, HBI ha chiuso un nuovo round di investimento sottoscritto da NovaCapital, la holding di investimento di Paolo Merloni, che affianca imprenditori nei settori ad alto tasso di innovazione. Dopodiché c’è una sfida da affrontare: portare HBI a diventare sempre di più parte attiva di un’industria che dovrà essere sempre più sostenibile. Diventare attivatori di un cambiamento culturale e imprenditoriale. Le competenze ci sono tutte. I valori pure. L’incontro tra Renato e Daniele doveva avvenire, a loro non rimane che scrivere le prossime pagine di questo racconto fatto di sostanza e di coraggio nell’intraprendere strade non sempre già ben definite. Ma questa è l’innovazione.
#ToBeContinued
Andrea Bettini