Sarà uno strascico dell’estate di San Martino, comunque sia è la giornata giusta per perdersi e il luogo giusto per ritrovarsi. Quando nel 2019 questo territorio è stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità UNESCO tra le motivazioni deve esserci stata anche questa. Il sentirsi più vicini a se stessi. Perché è questo che sta accadendo anche oggi. Il tempo che rallenta. L’essenza delle piccole cose. Il riscoprire dei profumi. L’ascolto del battito della natura, del proprio cuore.
Seduti attorno a un tavolo con vista a perdere sull’infinita bellezza, iniziamo a dialogare lentamente. Poche domande. Più che altro ascoltando le parole che vengono dette, i sentimenti che ne fuoriescono. Prima un brindisi, dopo aver versato in tre calici un vino il cui nome è “Questo neanche”. Un’affermazione. Un prendere le misure. Una dichiarazione che quello che stiamo per degustare è l’espressione di un modo d’intendere il fare il vino e forse anche la vita.
Matteo l’avevamo incontrato durante lo speciale dedicato al gusto di Dialoghi D’Impresa. Ci aveva colpito la sua spontaneità. Ci aveva colpito come un ragazzo giovane potesse riappropriarsi di un modo di stare al mondo. Umiltà, determinazione e tanta passione. Già la passione quella che lo ha spinto a costruire un proprio percorso in ambito vinicolo. Tornando alle origini. Guardando indietro per andare avanti. Perché questo non è un paradosso, ma un modo per fare vera innovazione. Restituendo la parola a quello che è questo territorio e meno a ciò che accade nella cantina. Un’innovazione che parte dal ridurre l’uso dei prodotti enologici e dal rispetto di un equilibrio che dovrebbe essere sempre centrale nella ricerca del benessere della nostra esistenza.
La vista qui da Collalbrigo è una di quelle da togliere il fiato. I raggi di un sole di metà novembre ne sottolineano le diverse sfumature e bellezze. Matteo ci accompagna a fare un giro per il vigneto. Ci parla di cos’è la sua azienda agricola Monban, ma soprattutto di cosa vuole diventare. “Il vino di una volta, più buono” non è uno slogan, ma la perfetta sintesi di ciò che vuole far accadere qui. Alterna il suo sguardo dalla terra verso il cielo, come ne vedesse una continuità, come fosse un tutt’uno e forse così è. Ci racconta dell’impegno che c’è nel portare avanti una filosofia che non ammette compromessi con lo stare bene. Il prendersi cura della terra. Il condividere ciò che essa ci offre in maniera consapevole. Rispettosa. C’è una certa soddisfazione in alcuni suoi passaggi. Una soddisfazione umana data dal seguire dei propri valori, ciò in cui uno crede. Forse la risposta a una delle domande più profonde che ognuno dovrebbe porsi “che cosa vuoi veramente?”.
Non lo disturba avere un cognome “importante” come Bisol. Sette anni di esperienza a Venissa. Il confronto sincero con il padre. La consapevolezza di fare una sua personale scelta. Rischiosa? Sincera. Quella di un giovane che interpreta a modo suo il tema del passaggio generazionale. La responsabilità di essere custode temporaneo di un territorio straordinario che va tutelato, preservato, così come si faceva una volta, così come non sempre ci si è ricordati nel tempo in questa che è la zona del Prosecco Superiore di Valdobbiadene e Conegliano.
Torniamo a sorseggiare il vino di Matteo attorno a quel tavolo con vista sull’infinito. Con me c’è Gianluca Scarcella. Siamo in veste di co-curatori di un festival dedicato alla narrazione d’impresa. Siamo qui perché volevamo rincontrare Matteo Bisol dopo la sua partecipazione alla manifestazione. O forse siamo qui anche per rincontrare un po’ di più anche noi stessi. Grazie a questo luogo. Grazie a persone come Matteo che inseguono una passione che trova espressione nel suo vino. Nel suo modo di essere. Nel suo modo di fare.
“Evviva!”. Alziamo i calici al cielo, brindando alla vita.
#ToBeContinued