Nel fine settimana mi si sono intrecciate due letture che apparentemente non hanno nulla a che vedere con i manuali di narrazione d’impresa, ma riflettendoci sopra non solo centrano, ne sono le fondamenta. Il racconto di un’impresa spesso viene visto solo in maniera miope. La glorificazione di un passato magari in salsa amarcord. Le potenzialità di questa metodologia sono molto più ampie. La narrazione d’impresa è un processo. Un processo che ripercorrendo il passato, mette a fuoco dove sono oggi e traccia le linee di dove voglio andare. Un processo che mi obbliga a pormi delle domande e proprio su questo tema diventano calzanti gli interrogativi rintracciati in questi due libri: “Fare i conti con la vita” di Clayton Christensen con James Allworth e Karen Dillon e “Ikigai” di Bettina Lemke.
Nel primo testo Clayton Christensen, docente di economia alla Harvard Business School e nominato nel 2011 da Thinkers50 uno dei più influenti “business thinker“, insieme a due suoi collaboratori e sulla base della propria esperienza professionale e di vita, ha provato a traslare le regole del management nella quotidianità di tutti noi, il tutto finalizzato alla scoperta dei veri valori dell’esistenza. Nell’altro Bettina Lemke, racconta di questo Ikigai, il metodo giapponese risalente alle isole Okinawa, dove i suoi abitanti sono soggetti a vari studi perché risulta essere una delle popolazioni più longeve e felici. Ikigai lo potremo tradurre come “la ragione per cui vale la pena ogni giorno alzarsi”.
Perché questi due testi sono così calzanti anche in ambito di Corporate Storytelling? Perché parlano del senso della vita. Del perché facciamo ciò che facciamo direbbe il buon Simon Sinek. Un’impresa è obbligata a porsi queste domande, perché è un’organizzazione di persone. Perché fa parte dell’essenza stessa della sua costituzione. Come cita l’imprenditore e amico Maurizio Zordan, CEO della Zordan S.r.l. Società Benefit (storia che ho raccontato nel libro “La giusta dimensione“): “La crisi esplosa nel 2008 ha dimostrato i limiti del capitalismo orientato unicamente al profitto e portato al collasso dalla cupidigia che aveva esso stesso alimentato” è per questo che bisogna ritornare alle origini del senso delle cose. Valori, Mission e Vision di un’impresa non possono essere espressione di testi redatti da buoni copywriter, ma le fondamenta di una narrazione coerente che porterà un’impresa ad evolversi in maniera virtuosa per sé, i propri collaboratori e il territorio in cui opera. Crescere in armonia. Un’armonia che è possibile alimentare se e solo se è ben chiaro quali saranno i prossimi capitoli che l’impresa vuole scrivere.
La narrazione d’impresa mette nelle condizioni di riflettere e ritagliarsi i giusti momenti per cercare quelle risposte che possono far sì di crescere in maniera armoniosa. Attraverso la narrazione si danno voce ad almeno quattro delle aree della nostra esistenza: ciò che ami, la passione; ciò che serve al mondo, la missione; ciò che sai fare, la vocazione e ciò per cui sei pagato, la professione. Se un’impresa riesce a definire in modo chiaro questi ambiti, riuscirà a far sì che il proprio racconto possa avere un impatto ispirazionale all’interno della propria organizzazione e diventi il volano non solo per fare le cose, ma per fare bene le cose. Perché dietro ad ogni cosa che facciamo c’è una chiara motivazione. Si tratta solo di prendersi un po’ di tempo e capire qual è il (vero) scopo della nostra impresa. Perché anche un’impresa ha il suo ikigai.