Un’azienda stressata e infelice può avere un successo duraturo?
Ai posteri l’ardua sentenza, comunque sia sarebbe alquanto difficile parlare di una narrazione condivisa in grado di suscitare nei presenti quel sentimento vitale (e d’orgoglio) nel sentirsi parte di una storia comune.
Sono sempre più frequenti nelle imprese interventi mirati a ricreare le condizioni ottimali per un lavoro felice, inteso non tanto nella costruzione utopica di un luogo privo di problemi, bensì la progettazione e l’esecuzione quotidiana di un ambiente in cui gli individui possano evolvere come persone e professionisti. In questa visione è chiaro che la componente relazionale ed emozionale deve essere preservata e alimentata costantemente ed è proprio qui che la capacità di riconoscere, utilizzare, comprendere e gestire in modo consapevole le proprie e altrui emozioni, diventa, come lo stesso Daniel Goleman ben spiega nel suo bestseller sull’intelligenza emotiva, un fattore determinante.
Anche Chade-Meng Tan, il quale dopo aver lavorato per anni come ingegnere in Google è passato alle Risorse Umane, racconta nel suo libro “È facile lavorare felici se sai come farlo”, la propria personale esperienza legata al programma formativo che lui stesso ha introdotto in Google, guarda caso che ha come nome Search Inside Yourself.
È in questo territorio tra la presenza mentale o mindfulness e l’intelligenza emotiva, che la narrazione del sé trova la sua sostanziale applicazione, come efficace metodologia a supporto non solo della funzione Risorse Umane, ma dell’intera impresa nella sua complessità organica. La narrazione avendo come elemento intrinseco le emozioni diventa il fluidificante naturale per entrare in empatia con gli altri e quindi con la capacità di gestire le relazioni con le altre persone. Ma non solo. Se la narrazione del sé ci permette di conoscerci meglio e perciò di essere emotivamente intelligenti e perciò di saper accettare tutte le emozioni dentro di noi, per vivere meglio la nostra vita, allo stesso tempo ci permette di mettere a fuoco quel perché, che è alla base delle nostre azioni e che va sotto il nome di motivazione.
La narrazione del sé non si ferma qui. Perché se diventa la palestra ideale per allenare e coltivare la propria intelligenza emotiva, allo stesso tempo ha ragione di esistere se inserita in una narrazione più ampia, in una narrazione collettiva, come deve essere quella di un’impresa. Un lavoro di consapevolezza su due livelli. Non potrebbe essere diversamente. Nel momento stesso in cui veniamo al mondo entriamo già in relazione con una comunità con tanto di diritti e doveri. È per questo che un’impresa felice non è quella in cui ti è permesso di fare ciò che vuoi. Un’impresa felice è dove ognuno dà il meglio di sé, senza aspettare che siano gli altri a fare il primo passo. È un processo armonico in cui il prendersi cura degli altri confluisce nel prendersi cura di se stessi e dove ognuno si assume le proprie responsabilità. Solo così un’organizzazione può evolvere. Solo così il prossimo capitolo del racconto di un’organizzazione non potrà che essere straordinario.