
La strada che da Nove porta a Bassano del Grappa costeggia il Brenta. È un pomeriggio di sole, l’aria sa di fine giornata e le voci dei passanti si mescolano al rumore dell’acqua. È qui che incontro Sebastiano Zanolli. O meglio, è lui a portarmi con sé, a passo svelto, mentre passeggia: camminando, dice, le parole vengono meglio.
Non servono molte formalità: Sebastiano è fatto così. Diretto, immediato, con quell’ironia leggera che smonta la gravità dei concetti senza mai banalizzarli.
Mi racconta di sé, partendo da lontano: nato nel 1964, cresciuto in un paese di ceramiche e sogni a basso costo, laureato in Economia e Commercio, passato dal carabiniere ausiliario alle vendite, dal marketing alla direzione generale. Ha guidato marchi, gestito team, disegnato strategie. E soprattutto ha ascoltato. «È lì che ho imparato che la parte più difficile, e più preziosa, è sempre la collaborazione. Non perché io abbia le risposte, ma perché so che si possono fare domande migliori».
Collabora come advisor con imprenditori e CEO, conduce eventi aziendali non per animare, ma per dare coerenza e ritmo, scrive libri che non sono manuali ma interpretazioni. «Se proprio devo definirmi, non sono un esperto. Cerco di essere un interprete. Uno che traduce la complessità in parole chiare e restituisce strumenti leggeri da portare con sé».
Camminando, Sebastiano torna spesso sul tema che ha segnato i suoi ultimi anni: la collaborazione. Una trilogia di libri – Guerra o pace, Lavorare è collaborare, Collaborare a ogni età – ne racconta le sfumature. Prima la gestione dei conflitti, poi il valore di “essere e fare insieme”, infine il dialogo tra generazioni. «Perché oggi – spiega – il vero punto critico non è tra capi e dipendenti, uomini e donne. È tra generazioni. Bastano cinque anni per cambiare device, linguaggi, prospettive. È lì che si gioca la possibilità di collaborare davvero».
La differenza generazionale, per Zanolli, non è un ostacolo ma un’occasione. La chiama age integration: non un compromesso, ma un paradigma nuovo, in cui giovani e senior lavorano insieme come pezzi di uno stesso puzzle. «Separati falliscono: i giovani senza esperienza reinventano ruote già inventate, i senior senza energia diventano dinosauri. Insieme creano invece aziende che durano senza uccidere chi ci lavora».
Mentre costeggiamo il fiume, Sebastiano evoca immagini che si imprimono: il mammut che si poteva cacciare solo insieme, il “Punto Mario” – quella fase della vita in cui si comprende che nessuno si salva da solo –, la doppia carriera dopo i sessant’anni, quando non si tratta di resistere, ma di riorientarsi, come surfisti che remano più forte quando le onde si fanno più alte.
C’è in lui un realismo disincantato, ma non cinico. Parla del quiet quitting come di una forma di protezione, del bisogno di cura reciproca come unica costante nei cicli della vita, della fiducia come collante che tiene insieme le organizzazioni. «Il contrario del quiet quitting non è l’entusiasmo forzato. È la fiducia a lungo termine».
Poi, con lo sguardo di chi ha imparato a diffidare delle mode passeggere, introduce un concetto che lo guida: l’Effetto Lindy, teorizzato da Nassim Taleb. «Se una cosa è sopravvissuta a lungo, è probabile che resista ancora. È per questo che cerco strumenti e principi che abbiano superato la prova del tempo, non mode manageriali destinate a sparire in pochi anni».
Il discorso si allarga. Non basta vivere più a lungo, serve reinventare anche i modelli sociali. «La longevità non è solo un dato anagrafico. Se devo lavorare fino a 75 anni, non posso pensare che basti replicare gli schemi di prima. Bisogna riorientarsi, continuamente. Non è un bene o un male in sé, è una sfida che riguarda ciascuno di noi».
E qui torna il punto che, più di tutti, gli sta a cuore: la comunità. «Possiamo avere tutti gli strumenti, tutte le tecniche, ma se manca l’idea di un futuro condiviso non c’è motivo per collaborare. È lì che si gioca la vera partita».
Gli chiedo chi sia Sebastiano Zanolli oggi. Si ferma un attimo, guarda il fiume e sorride: «Sono un uomo entrato nel suo terzo quarto di vita. Ho ancora tempo, ma non posso vivere di rendita. Devo riorientarmi continuamente per restare significativo. Per il mercato, certo, ma soprattutto per le persone che hanno fiducia in me e a cui voglio bene».
La passeggiata prosegue verso Bassano, ma la sensazione è che il dialogo possa continuare. Perché con Sebastiano non è solo questione di libri o teorie. È questione di camminare insieme.
#ToBeContinued
Andrea Bettini