A sentire parlare Alessandro Rubini, project leader di Distretti Culturali, sembra che tutto ciò che è stato fatto fino ad oggi sia solo il risultato di un processo naturale. Ma non si può dare per scontato che le storie non siano fatte anche da “evoluzioni”. Cambiare non è semplice. Cambiare comporta dei rischi. Cambiare però è anche uno stato di necessità.
E se oggi lo sviluppo territoriale utilizza la lingua della narrazione, un po’ di merito lo dobbiamo anche a lui, alla sua squadra di lavoro e naturalmente alla Fondazione Cariplo che ci ha creduto.
In cinque anni questo progetto ha riscritto la grammatica legata al settore culturale e al ruolo strategico che deve avere una fondazione istituzionale, come la Fondazione Cariplo. C’erano tre sfide da affrontare:
1. introduzione di una visione a lungo, quindi una programmazione organica, all’interno del settore cultura/fondazioni;
2. coinvolgimento del tessuto sociale, in particolar di quegli attori come i ragazzi che vengono raramente presi in considerazione;
3. organizzazione istituzionale attraverso un sistema di governace coinvolgente.
Tutto qui? Riuscire anche in una sola di queste sfide sarebbe stato un buon risultato. Portarle a compimento tutte e tre avrebbe significato cambiamento ed è ciò che è stato fatto. La differenza l’ha fatta la capacità di individuare nuovi linguaggi di comunicazione. La differenza, ancora una volta, l’hanno fatta le persone. “Come tutte le istituzioni, arrivavamo da un approccio formale, basato per lo più su convegni e pubblicazioni dal taglio piuttosto accademico, ma ci siamo resi conto che mancava qualcosa, mancava il ruolo del capitale umano… sono le storie di persone che fanno la differenza” mi dice con tono entusiastico Alessandro.
Così il Progetto Distretti Culturali ha preso vita e sostanza. Cambiando un linguaggio per raccontare delle verità culturali che non emozionavano e utilizzando lo storytelling per ampliare il target di riferimento, un target che doveva andare oltre il pubblico istituzionale. “È stato piuttosto rivoluzionario per una struttura come Fondazione Cariplo, non tanto sui temi, ma sui modi. All’inizio i nostri interlocutori più istituzionali si sono trovati smarriti, parlare di storie invece che di processi il salto è notevole, ma alla fine i risultati ci hanno dato ragione”, continua Alessandro Rubini commentando questo cambiamento di prospettiva che ha assunto la sua fondazione nei confronti di ciò che fa per la cultura. D’altronde questo è sempre stato uno dei problemi della cultura, quello di dare più importanza nel comunicare ai propri “affini”, ai propri “simili”, perdendo di vista i veri interlocutori e protagonisti di tutto ciò.
Attraverso questa modalità Fondazione Cariplo è riuscita a restituire alla popolazione, introducendo elementi emotivi e comunicativi, il desiderio dei sei distretti culturali lombardi interessati: Valle Camonica, Valtellina, Dominus, Monza e Brianza, Cremona e Regge dei Gonzaga. Un progetto questo dei Distretti Culturali che in cinque anni ha coinvolto più di tremila imprese e professionisti e che ora continua attraverso una piattaforma narrativa di comunicazione www.distretticulturali.it che in poco più di sei mesi ha ottenuto più di 2.600.000 visualizzazioni attraverso i diversi canali social (FaceBook, Twitter e YouTube), quasi 10.000 interazioni attraverso la “call to action” #Raise2Rise dove ognuno può partecipare raccontando la propria storia di risveglio e cultura ed infine, la costituzione di una community internazionale di 7.000 utenti.
Cambiare è sinonimo di agire. Anche per Alessandro Rubini il passaggio dalle aule universitarie come docente di economia aziendale alle platee informali della Social Week non è stato banale. Ma ne ha sentito l’esigenza, come l’ha avvertita Fondazione Cariplo. La storia di questo nuovo approccio adottato da questa fondazione è solo all’inizio, ma la trama non può che essere entusiasmante.