
C’è chi studia le città come organismi complessi, chi le racconta come luoghi da abitare, chi le vive nel loro continuo trasformarsi. E poi c’è chi sceglie di starci dentro, con la consapevolezza che una città non è mai solo spazio e mattoni, ma anche fragilità, disastri, ricostruzioni, possibilità. Mattia Bertin, classe 1985, ricercatore in urbanistica all’Università Iuav di Venezia, è uno di questi.
Il suo percorso parte da lontano: la filosofia prima, poi un dottorato a Milano, un’esperienza di ricerca a Madrid. Ma accanto allo studio, c’è sempre stata l’azione. Per dieci anni volontario di protezione civile, Mattia ha imparato sul campo cosa significhi arrivare poche ore dopo un terremoto o coordinare squadre nei boschi piegati come dopo la tempesta Vaia. Una scuola di vita che gli ha insegnato che i disastri non sono parentesi eccezionali, ma rivelatori della nostra capacità – o incapacità – di adattarci.
Non a caso, oggi i suoi temi di ricerca si muovono lungo la linea sottile che unisce città e catastrofe, cambiamento climatico e resilienza. «Il cambiamento climatico non è una crisi, è una catastrofe» afferma. E la differenza non è di poco conto: una crisi ammette un ritorno al modello precedente, una catastrofe invece obbliga a costruirne uno nuovo.
Anche il suo modo di fare ricerca riflette questa visione. Mattia Bertin non la immagina come un esercizio chiuso nelle stanze universitarie, ma come un’attività da misurare concretamente nella capacità di produrre risorse e soluzioni. Lavora molto con i Comuni, si muove con i bandi di finanziamento, progetta in modo da generare più risorse di quelle che consuma. Un approccio pragmatico, che unisce pensiero e sostenibilità economica.
Radicato a Bassano del Grappa, qui ha incontrato la rete di cooperative Rete Pictor e con loro ha dato vita a Ground Social Forum. Non un festival, non una rassegna, ma uno spazio di produzione di pensiero: giorni in cui si mettono insieme prospettive lontane per provare a immaginare nuove trame. «Spesso – racconta – la sostenibilità sociale e quella ambientale vengono trattate come mondi paralleli, senza mai intersecarsi. Ground nasce proprio per farle dialogare».
Ecco allora l’interdisciplinarità come cifra distintiva: al forum non ci sono solo urbanisti, ma fisici quantistici, giornalisti che hanno vissuto in prima linea i conflitti, neurobiologi, divulgatori scientifici, artisti, musicisti. Un intreccio volutamente “fuori moda”, come ama definirlo, in cui le competenze si contaminano e i linguaggi si mescolano per provare a scorgere nuove strutture del pensiero. «Non volevamo fare un contenitore di eventi frontali – spiega – ma un luogo in cui il confronto diventa occasione di cambiamento».
Per questo l’edizione 2025 ha scelto come payoff Poeticamente corretto: perché se il “politicamente corretto” sembra ormai imprigionare le parole, è la poesia a poter aprire nuove strade, restituendo complessità e immaginazione.
Accanto al ricercatore c’è l’uomo. Scout “dalla testa ai piedi”, come ama definirsi, Mattia riconosce in quell’esperienza educativa le radici del suo impegno civile. «Da ragazzo ho capito che dovevo occuparmi di queste cose: mi toccavano corde profonde». Anche l’incontro con sua moglie, ricercatrice allo stesso ateneo ma con interessi diversi – lui più legato al rapporto tra città e ambiente, lei al welfare e al benessere sociale – racconta un equilibrio che è insieme personale e professionale. «Siamo stati fortunati: lavorare insieme è per noi uno stimolo continuo».
E se gli scenari globali non autorizzano facili entusiasmi, la sua visione resta segnata da un ottimismo radicale. «Sono una persona ottimista a livelli ridicoli», ammette con un sorriso. Non è ingenuità, piuttosto la convinzione che l’umanità, come ha fatto in altre epoche, saprà trovare una via d’uscita. A patto di saperci organizzare adesso, formare le nuove generazioni, costruire una mentalità più elastica, capace di affrontare le sfide che ci attendono.
Alla fine, se gli chiedi chi è, Mattia risponde con semplicità: «Uno che ci prova a cambiare le cose». Ed è forse questa la definizione più onesta e più potente che un ricercatore, un cittadino e un uomo del suo tempo possa darsi.
#ToBeContinued
Andrea Bettini