
Lara Botta aveva già una vita. Anzi, più di una. Una laurea da infermiera, un master in sociologia dei generi, una carriera avviata tra Londra e Basilea nella farmaceutica. Un percorso costruito con rigore, indipendenza e sete di mondo. Ma le strade, a volte, tornano indietro. E se a riportarla in Italia fu una scelta personale – di vita prima che di lavoro – fu dentro l’azienda di famiglia che accadde l’imprevisto.
Aveva deciso di entrare in BOTTA EcoPackaging “per poter dire di no”. Ma quel no non arrivò mai. Perché in quella piccola impresa di scatole in cartone, fondata dalla nonna e fatta crescere con dedizione dal padre, Lara ha trovato qualcosa che nessuna multinazionale le aveva mai dato: la possibilità di vedere, cambiare, incidere.
Non è stato un passaggio morbido. Né scontato. In azienda era “la figlia di”, ma anche “quella che veniva da tutt’altro” e che di cartone ondulato non sapeva nulla. Proprio questa distanza iniziale le ha permesso di imparare con umiltà, passo dopo passo: commerciale, contabilità, back office, clienti. In un ambiente familiare e maschile, ha dovuto guadagnarsi il suo spazio facendo, prima ancora che dicendo.
E nel tempo, con pazienza, quel suo spazio se l’è ritagliato. Oggi è vicepresidente e anima innovativa dell’azienda. Si definisce “quella delle cose strane”, ma è solo un altro modo per dire: visione. È sua l’intuizione che ha trasformato un magazzino in un marketplace. È sua la spinta che ha portato BOTTA EcoPackaging ad apparire sul Financial Times tra le 100 realtà europee più innovative. Ed è sua la scommessa sul packaging sostenibile, iniziata nel 2018 – quando ancora non era un trend – e cresciuta fino a diventare un asset strategico dell’azienda. Oggi a Trezzano, su un Naviglio industriale, bussano brand internazionali. E non è un caso.
Lara non crede nei colpi di fortuna. Crede nel lavoro. E nell’innovazione frugale: quella che nasce dalle idee prima ancora che dagli investimenti. “Per fare una ciambella col buco, devi farne tante”, le diceva suo padre. Lei ascoltava. Provava. Sbagliava. Riprova ancora oggi.
BOTTA EcoPackaging è diventata un’azienda con due anime: la solidità del mestiere e l’irrequietezza del pensiero. Una realtà in crescita, sana, ma soprattutto aperta. Dove non esistono compartimenti stagni, dove ogni cambiamento viene prima testato da chi lo propone. “Faccio io per prima, e solo se funziona chiedo agli altri di seguirlo”. È un modo di guidare che non impone: ispira. E che si specchia anche nel tono della comunicazione aziendale, mai convenzionale, fuori dagli schemi, coerente con chi la genera.
Ma la dimensione che rende Lara unica è quella più intima. Quella in cui, pur con esperienza internazionale e riconoscimenti pubblici, convive ancora con una domanda silenziosa: “Ce la farò davvero?”. La sindrome dell’impostore non l’ha mai abbandonata del tutto. Ma è proprio questo dubbio, dice, a tenerla sveglia, affamata, umile. È un pungolo continuo, un invito a non smettere di cercare soluzioni, senso, possibilità.
Fuori dall’azienda, il suo impegno continua. È vicepresidente delle PMI di Assolombarda, presidente dell’Unione Grafici, advisor per progetti di impatto sociale e ambientale. Ma soprattutto è un punto di riferimento per molte giovani donne. Promuove le STEM nelle scuole, supporta il reinserimento lavorativo di donne vittime di violenza, parla apertamente di quanto contino i role model. “Se non le vedono, le ragazze non crederanno mai che sia possibile”.
A sua figlia, sedicenne, ha deciso di far vedere tutto: fiere, incontri, riunioni, perfino l’associazione di categoria. Non per trasmetterle un’eredità, ma un’opzione. Quella dell’imprenditorialità. Quella del provarci. Quella di una vita piena, complicata, faticosa, ma scelta.
“Da fuori non si capisce cosa significhi davvero fare impresa. Ma è giusto che i figli sappiano. Conoscano il bello e il brutto. Le notti insonni e le piccole conquiste. Perché se un giorno vorrà provarci anche lei – qui o altrove – deve sapere cosa comporta. E che si può.”
Lara corre tanto. Divide il tempo in slot da dieci minuti. Ascolta canzoni che danno carica. Se dovesse scegliere un colore per raccontarsi, direbbe arancione: caldo, brillante, non convenzionale. Se la sua storia fosse una copertina, dovrebbe contenere un sorriso. Perché c’è sempre ottimismo, anche nei momenti duri. Perché si può evolvere senza tradirsi. E si può fare innovazione con delicatezza, ma senza paura.
Forse, in un tempo in cui molti inseguono scorciatoie, la sua è una lezione ancora più necessaria: “Io non conosco altro modo di avere successo che lavorare sodo. E trovare senso in ciò che si fa”.
#ToBeContinued
Andrea Bettini