“Sì ma io che lavoro in un ufficio pubblico come potrei applicare lo storytelling?”
La domanda arrivava da un giovane dirigente, posizionato all’angolo destro della seconda fila di quel piccolo auditorium. Giungeva dopo un mio intervento mirato a raccontare che non dovevano essere solo le grandi imprese ad utilizzare la metodologia del Corporate Storytelling, ma anche realtà meno strutturate e sicuramente dai budget in Comunicazione (qualora ci fossero stati) molto più contenuti.
Quindi quelle parole seguite da un interrogativo e anticipate da una mano alzata, giungevano non solo nel momento più opportuno, ma mi avrebbero permesso di integrare la presentazione di quella giornata toccando un ambiente lavorativo che avevo distrattamente tralasciato. Perché se il Corporate Storytelling può essere adottato anche da piccole/medie imprese o da singoli talentuosi artigiani, dovrebbe essere adottato anche dalla Pubblica Amministrazione, nel rispetto della “Spending Review”.
Quello che risposi quel giorno, oggi posso sintetizzarlo in questi tre punti:
1. Riavviare i motori. C’è un problema di fondo. Riguarda tutte le organizzazioni aziendali e non risparmia di certo la PA. Un’impresa è fatta di Uffici, Competenze, Visione e Obiettivi, ma ancor prima è fatta di persone. Se si vuole che il termine Divisione, rimanga ad appannaggio di più Funzioni Aziendali e non sia un’interpretazione letterale intesa come “strappo” tra gruppi di lavoro, occorre che tutti sappiano cosa si fa all’interno di una struttura, perché lo si fa e cosa comporti ogni singola attività. Ogni dipendente deve sentirsi protagonista di una medesima storia. Una storia collettiva scritta ed interpretata da ognuno di loro. Il Corporate Storytelling ha questa capacità. Quella di riassettare i flussi informativi di comunicazione interna e nello stesso tempo evidenziare valori positivi da condividere. Meritocrazia ed Efficienza, utilizzati non più come semplici intercalari in discorsi programmatici di lungo corso, ma riferimenti quotidiani supportati da immediate azioni concrete. Occorre riavviare i motori di un meccanismo ancorato a disfunzioni suffragate da un “si è sempre fatto così”.
2. Degli stereotipi si può fare a meno. “Riavviati i motori” si può procedere alla seconda parte del percorso. Comunicare bene cosa si fa all’interno di un ufficio di PA. Raccontare i servizi offerti, le modalità di gestione, le tempistiche di realizzazione. Creare un filo conduttore con il cittadino. Avviare una comunicazione esterna chiara. La trasparenza si ottiene con poche parole che non hanno bisogno di essere interpretate, più che da una serie di capoversi indicizzati da una numerazione romana. Adottare una strategia di storytelling per comunicare con il pubblico significa avvicinare il cittadino verso la PA, renderlo partecipe, rompere i muri del “loro contro noi” e costruire ponti sostituendo “contro” con la congiunzione “e”. L’essere parte di un sistema aperto in grado di eliminare definitivamente antichi stereotipi. Una nuova narrazione coerente con un nuovo approccio della PA. Parafrasando gli Open Data, tema caldo sul quale ci giochiamo l’efficacia anche dei servizi pubblici, ci vuole pure un orientamento Open Minds.
3. I risultati contano. Ben perseguiti i primi due obiettivi, non resta altro che verificare i risultati. E i risultati non possono che essere positivi. Questo non è un finale già scritto, ma la logica conseguenza di aver attivato un sistema virtuoso che ha adottato il Corporate Storytelling nella comunicazione interna, in quella esterna e nella gestione delle risorse umane. Una nuova narrazione supportata da azioni può portare solo verso questa direzione. Non è utopia, ma l’applicazione strategica di un processo che ha nello storytelling il riflettore per far luce su un sistema di approccio nuovo. Fatto questo non ci possono essere più giustificazioni da parte di chi lavora all’interno della PA e sterili lamentele da parte dei cittadini. Solo i risultati possono giustificare questo cambio di marcia e nello stesso tempo alimentare un positivo effetto domino.