Chi entra in un’azienda oggi lo fa sì per apportare le proprie competenze, ma non solo. Lo fa anche per esprimere attraverso lavoro e professionalità, la propria persona. In alcune aziende sono cambiate anche le modalità di selezione del personale. Non basta un curriculum intriso di esperienze passate. Conta quello che puoi fare oggi. Domani. Alcuni responsabili delle risorse umane hanno già colto questo passaggio. Selezionano i candidati come fossero gli ideali protagonisti di nuovi ruoli interpretativi aziendali. È così che nella provincia di Modena possono accadere storie come questa.
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Si era seduta, come d’abitudine aveva fatto più volte in questi ultimi mesi. L’emozione era stata sostituita da un senso di rassegnazione oramai poco latente. Nonostante ciò, dopo un lungo sospiro, cercò di ritrovare quell’apparente concentrazione in grado di permetterle di rispondere in maniera non automatizzata a quell’ennesima job interview. Ma quel giorno qualcosa di diverso era accaduto.
“Le andrebbe di fare due passi fuori, vista la bella giornata?”, aveva esordito così chi avrebbe potuto decidere del suo presente lavorativo. Già questo aveva scardinato una normale sequenza di un colloquio che trovava nelle esperienze professionali passate il suo tema conduttore. Elena, visivamente sorpresa e compiaciuta della cosa, si ritrovò a camminare nel lungo viale alberato antistante l’azienda con Anna, era questo il nome con il quale si era presentata la responsabile delle risorse umane. Un solo e semplice nome. Privo di qualifiche iniziali. Slegato da cognomi successivi.
Anna era una donna di giovane età. Una di quelle età dove la bellezza sembra aver trovato nella maturità la sua perfetta complice. I lineamenti marcati, evidenziavano un sorriso fonte di serenità, mentre la sua cadenza romana mischiata alle influenze di non pochi anni passati al nord, la dotava di una naturale simpatia fonica.
In questa atmosfera informale, Elena si ritrovò a parlare di sé senza che le venissero poste delle domande. Era come se si fosse ritrovata con un’amica che da anni non vedeva e volesse aggiornarla con rapidità di tutto ciò che le era accaduto in quel frangente. Anna era presente. L’ascoltava. La guardava. La osservava. La capiva. Raramente la interrompeva se non per sottolineare l’entusiasmo di qualche passaggio e attenuarne la delusione di altri. Solo quasi al termine di quel viale e quasi in concomitanza con quell’ultimo raggio di sole che stava per tramontare, le rivolse una domanda che più che interrogativa lasciava all’interlocutrice la più ampia libertà di risposta: “Come potresti contribuire alll’evoluzione della storia di questa azienda?”.
Elena non esitò un istante. In maniera quasi inconsapevole, ma dal forte impatto metaforico, si arrotolò le maniche della sua camicia in lino ed esclamò: “Scrivendo un nuovo entusiasmante capitolo di un’impresa che sento già mia”.
Si salutarono stringendosi forte la mano. Si sarebbero riviste a distanza di due settimane. Anna era salita al terzo piano di quell’edificio di Via Don Luigi Sturzo. Era l’ufficio amministrativo. In fondo a destra seduta alla sua scrivania c’era Elena. Si scambiarono uno sguardo. Poi Anna si avvicinò ulteriormente e le disse: “Allora come va il primo giorno di lavoro?”. Elena che a stento tratteneva la gioia le rispose: “Sono veramente felice di essere qui, grazie ancora Anna. Posso solo chiederle perché ha scelto me?”. E Anna sorridendo rispose: “Questa azienda ha bisogno di persone che si sentano parte di una comune storia di crescita… tu con il tuo entusiasmo e la tua voglia di fare non puoi che esserne protagonista”. Elena fece sua quella risposta. Si rimise a lavorare. Anzi cominciò a scrivere un nuovo tassello di quella storia della quale si sentiva pienamente partecipe.