
Ci sono luoghi in cui si arriva per amore e luoghi in cui si resta per scelta. E poi ci sono territori in cui si atterra senza conoscere nessuno, portando con sé una valigia, qualche sogno ancora informe e una domanda semplice ma decisiva: come si entra davvero in una comunità che non è la tua?
Per Daniela Belfatto, nata a Catanzaro, cresciuta tra gli studi di comunicazione a Bologna e un percorso professionale nel marketing, quella domanda è diventata un varco. Quando nel 2013 si trasferisce a Pove del Grappa, in provincia di Vicenza, le manca tutto ciò che in un luogo costruisce un’appartenenza: una rete di persone, un contesto culturale familiare, una storia condivisa. Deve ricominciare da capo e per farlo, sceglie la strada più antica e più umana: mettersi al servizio.
Comincia così, attraverso l’associazionismo. Prima quello culturale, poi altre esperienze di volontariato. Finché non incrocia Women For Freedom, l’organizzazione che si occupa di protezione, integrazione e riabilitazione di donne e bambine vittime di tratta, violenza e povertà (qui il ritratto di Luisa Rizzon, Presidente dell’associazione, che avevamo fatto qualche mese fa, N.d.A.).
Lì succede qualcosa. Lì Daniela sente che il suo talento — quello di costruire relazioni, organizzare esperienze, dare forma alle parole e ai significati — può incontrare un bisogno reale.
«Non so fare molte cose pratiche» confessa con una sincerità disarmante. «Ma so fare il mio lavoro: comunicazione, ascolto, cura delle relazioni». E quel lavoro, in quel contesto, diventa un ponte.
E nel 2021 non esita ad abbracciare l’idea di Women For Freedom – audace in pieno periodo Covid — di riunire la comunità attraverso la bellezza. Un festival che usi l’arte come linguaggio accessibile e universale per parlare di libertà, diritti, rispetto. Un luogo dove persone diverse possano sedersi, osservare, respirare e riconoscersi.
Così prende vita Liberamenti, il festival biennale di Women For Freedom, ospitato nelle sale di Palazzo Bonaguro a Bassano del Grappa. Non una biennale d’arte in senso accademico, ma un mosaico collettivo: artisti invitati a interpretare un tema, speaker che portano frammenti di conoscenza, laboratori, musica, cinema, poesia, performance. Un caleidoscopio di linguaggi che ruota attorno a un tema diverso ad ogni edizione. Per quella di quest’anno è stata scelta una parola tanto fragile quanto urgente: libertà.
«La libertà non è solo assenza di vincoli» spiega Daniela. «È possibilità di portare nel mondo il proprio contributo. Libertà da, libertà di, libertà per». E mentre la ascolti, capisci che questa prospettiva non è teoria: è la traccia di un percorso personale.
Perché Daniela è così: una donna che vive la curiosità come un talento, che attraversa mondi diversi senza mai abitarli in superficie. È DJ e ballerina di swing — una musica che lei stessa definisce “la prima forma di integrazione”: nera e bianca, femminile e ribelle, leggera e politica allo stesso tempo. È sommelier, perché anche il vino per lei è racconto, territorio, imprenditoria femminile. È appassionata d’arte come linguaggio che può mostrare il mondo com’è, ma anche come potrebbe essere.
In tutto quello che fa, c’è sempre un secondo livello di senso: un seme di consapevolezza piantato dentro un’esperienza piacevole. Forse è questa la cifra più nitida della sua direzione artistica: l’idea che ogni evento possa essere anche un gesto educativo, un ponte tra ciò che proviamo e ciò che possiamo diventare.
La nuova edizione di Liberamenti, inaugurata simbolicamente il 25 novembre — Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne — prosegue fino al 21 dicembre, ogni weekend, in questa direzione, moltiplicando linguaggi e prospettive. Dal cinema alla musica, dai laboratori alla poesia, dalle conferenze agli spazi esperienziali dedicati al pensiero olivettiano, tutto diventa occasione per interrogarsi su cosa significhi davvero essere liberi oggi, soprattutto per una donna.
Su questo punto la domanda è inevitabile: può una donna raggiungere una piena libertà nella società in cui viviamo? Daniela non si sottrae: «C’è ancora molto lavoro da fare. La libertà è sempre reciproca: se non sono libera io, non lo sei neanche tu. Dobbiamo costruire un ecosistema culturale, sociale e legislativo che permetta a ciascuno di esprimersi e realizzarsi».
Il festival, in fondo, è anche questo: un esercizio collettivo di immaginazione civica.
E quando le chiedo cosa vorrà fare “da grande”, sorride con quella leggerezza tipica di chi non ha smesso di essere bambina: «Continuare a fare quello che faccio adesso. Creare esperienze che fanno stare bene le persone. Restare curiosa. Imparare e restituire. Sempre di più».
Forse è questo, alla fine, il cuore di tutta la sua storia: Daniela Belfatto non dirige semplicemente un festival, assieme a Women For Freedom. Costruisce luoghi. Luoghi in cui una comunità può ritrovarsi, guardare l’arte, ascoltare le parole, ballare uno swing o degustare racconti con un calice di vino.
Luoghi in cui la libertà non è un concetto, ma un gesto condiviso. Un passo, un incontro, un’opportunità. Una porta che si apre.
#ToBeContinued
Andrea Bettini