
Quando sono entrato nella sede della Zilio Group, a Cassola, una manciata di minuti da Bassano del Grappa, ho avuto subito la sensazione di trovarmi in un luogo dove il tempo non scorre soltanto, ma si trasforma.
C’era luce ovunque, riflessa nei volti e negli occhi delle persone che mi hanno accolto. Ma quella che mi ha colpito di più era la luce negli occhi di Adriano Zilio, il fondatore: una brillantezza viva, generosa, di chi nella vita ha costruito molto con le proprie mani e ancora oggi non ha smesso di sognare. La stessa luce l’ho ritrovata negli occhi del figlio Damiano, che oggi guida il gruppo con la visione di chi sa guardare lontano senza dimenticare da dove arriva.
Seduti attorno a un grande tavolo in cristallo, quello dove si prendono le decisioni importanti, alle loro spalle due immagini catturavano immediatamente l’attenzione. Da un lato, le dieci regole del successo secondo Steve Jobs, manifesto di un modo di fare impresa fondato sull’amore per ciò che si fa, sulla cura dei dettagli, sulla ricerca costante della qualità. Dall’altro, un dipinto di Goldrake, il celebre robot pilotato da Actarus. Solo che in quel quadro il robot era diviso a metà: da una parte la potenza meccanica, dall’altra il volto umano del suo pilota. Due simboli apparentemente distanti, eppure perfettamente coerenti con la storia di questa impresa: tecnologia e umanità, forza e sensibilità, visione e concretezza.
Perché la storia della Zilio Group è proprio questo — il dialogo continuo tra un padre e un figlio, tra chi ha costruito con le mani e chi continua a costruire con la mente, tra chi ha immaginato il futuro quando ancora si lavorava a mano e chi oggi lo immagina dentro la rivoluzione sostenibile.
Adriano Zilio ha iniziato a lavorare a quattordici anni, alternando la scuola al mestiere dell’idraulico. Erano anni in cui la fatica aveva il peso delle cose vere e ogni giorno, serviva per imparare qualcosa in più. Nel 1959 fonda la sua impresa e poco alla volta costruisce un gruppo solido, capace di crescere insieme a lui. “Avevo dodici operai — racconta — e molti di loro sono rimasti con me per quarant’anni. Quando uno andava in pensione, era come se se ne andasse un familiare.”
È con questa mentalità che nascono le prime grandi commesse, gli impianti industriali, le centrali termiche, le condotte idriche e le reti di distribuzione del gas: un mestiere fatto di braccia, ingegno e dedizione. Ancora oggi, alla cena di Natale, quei collaboratori continuano a sedersi a tavola con lui. Perché alla Zilio non si è mai davvero “ex”, ma si resta parte di una storia comune.
La curiosità, però, non si è mai fermata. E quella stessa curiosità è diventata il filo che unisce le generazioni. Quando Damiano entra in azienda, porta con sé la sensibilità di chi sa osservare i cambiamenti e la lucidità di chi vuole guidarli.
Negli anni Novanta intuisce che il tema della qualità dell’acqua e del trattamento dell’arsenico sarebbe presto diventato cruciale. Si mette a studiare, viaggia in Europa, incontra ricercatori e professori, e dà vita a un progetto di sperimentazione pionieristico basato su una tecnologia che utilizza l’idrossido di ferro — una “ruggine trattata” capace di eliminare le impurità più sottili.
Nascono così i primi impianti sperimentali a Trento, poi a Roma, fino a una rete diffusa di soluzioni che cambieranno il modo di trattare l’acqua in molte aree del Paese.
È l’inizio di un nuovo corso: dalla meccanica all’ingegneria ambientale, dai cantieri alla progettazione, sempre mantenendo lo stesso spirito artigiano di un tempo. La Zilio diventa un gruppo che non si limita più a realizzare impianti, ma li pensa, li disegna e li brevetta. Con la stessa passione con cui Adriano, anni prima, saldava tubi e scavava trincee.
Nel frattempo, il mondo cambia. E con esso l’energia. Damiano comprende che il futuro passa per le rinnovabili e apre la strada al fotovoltaico. Nel 2008 la Zilio realizza uno dei più grandi impianti d’Italia per il Comune di Parma, poi arrivano commesse in Puglia, Sicilia, Abruzzo. Il gruppo cresce, ma resta fedele a un principio chiaro: prima l’ambiente, poi l’energia.
È la visione che oggi guida ogni attività della holding: progettare impianti idroelettrici e fotovoltaici che non consumino risorse, ma le rigenerino; ridare valore a ciò che già esiste, come le condotte idriche dismesse o le vasche di accumulo; e accompagnare i Comuni in percorsi di riqualificazione sostenibile senza chiedere loro investimenti iniziali. Un modello di economia circolare concreta, che non si limita a parole, ma produce risultati tangibili per i territori.
Nel 2024, con la nascita del Fondo Bucintoro, il sogno si allarga ancora: Zilio Group diventa promotore di un veicolo d’investimento dedicato a chi crede nella transizione energetica come responsabilità condivisa. Idroelettrico, fotovoltaico e rigenerazione ambientale diventano così i tre pilastri di una visione industriale che guarda avanti, ma con i piedi saldi nella terra veneta da cui tutto è cominciato. “Non vogliamo fare le cose più grandi,” spiega Damiano. “Vogliamo farle meglio.”
E poi c’è un’altra storia, più intima, ma altrettanto simbolica: quella di Zilius, l’azienda agricola nata quasi per gioco da un’intuizione di Adriano e dalla determinazione di Damiano. A ottant’anni, il padre decide di iscriversi a un corso online per diventare coltivatore diretto. “La sera — racconta Damiano — lo trovavo davanti al computer a studiare per prendere il patentino. Diceva che per coltivare la terra bisogna conoscerla davvero.” Zilius oggi unisce agricoltura, fotovoltaico e formazione: un modo per far convivere la natura e la tecnologia, la pazienza della semina e la rapidità dell’innovazione.
Mi mostrano il progetto di quello che diventerà la sede a breve. Colpisce l’attenzione ai dettagli. Una palestra costruita dentro una vecchia tettoia, un ristorante trasformato in cucina aziendale, sale dove si organizzano incontri e momenti di confronto. Un luogo vivo, pensato per le persone che ogni giorno danno energia all’impresa. “Chi lavora qui — spiega Damiano — deve sentirsi parte di qualcosa di bello. Prima pulisci il cantiere, poi ci lavori. È una regola che vale per tutto: anche per la vita.”
Per lui, un cantiere pulito è il segno di un pensiero ordinato. È la stessa cura che si mette nei progetti e nelle relazioni, nel modo in cui si guarda al futuro e a chi quel futuro lo abita.
Guardandoli insieme, padre e figlio, si ha la sensazione che Goldrake, lì alle loro spalle, non sia solo un quadro, ma un simbolo autentico di quello che sono: un robot con un cuore umano, capace di volare alto senza mai perdere il contatto con la terra. La stessa energia che, da più di sessant’anni, tiene accesa la luce di casa Zilio.
#ToBeContinued
Andrea Bettini