
C’è un momento in cui si smette di restare ai margini e si sceglie di esserci. Senza clamore, ma con disarmante chiarezza. Pierpaolo Seguso è in quel momento. Lo riconosce con naturalezza, quasi con pudore, ma senza alcuna esitazione. “Non conosciamo mai la nostra altezza finché non siamo chiamati ad alzarci”, scriveva Emily Dickinson. E lui, oggi, ha accettato quel richiamo.
Lo fa da Murano, da dove ogni gesto prende forma tra fuoco e pazienza. Lo fa come 23ª generazione di una
famiglia che da oltre sei secoli lavora il vetro con dedizione e senso, lo fa dopo il periodo di crisi, molte difficoltà, la pandemia e la scomparsa del padre Giampaolo nel novembre 2023, e prende in mano il testimone. Ma soprattutto lo fa come uomo che accetta di interpretare il mestiere in prima persona, senza rinchiudersi nell’eredità, né tradirla.
Pierpaolo oggi si definisce un vetraio. Non maestro, certo un designer e un artista che crea, non da manager o amministratore delegato, da imprenditore nel suo valore etimologico più che simbolico “colui che prende dentro di sé”. Così: vetraio! Con tutto il peso e la leggerezza di una parola che sa di officina, di mani, di quotidianità, di artigianalità. La sua è una dichiarazione d’amore per i mestieri semplici. Non facili, ma essenziali. Come quello del contadino, dell’insegnante, del falegname. Che se fatti con sapienza e coscienza rendono il mondo un luogo migliore. Senza rincorrere le vetrine, ma carichi di verità, dove crei rapporti e sostanza con fatica e determinazione con profonda onestà, prima di tutti verso se stessi.
Semplice non significa facile o banale. È con questo spirito che collabora con i più grossi studi di architettura del mondo, con designer di fama e maison del lusso internazionali. Senza clamore, con consapevolezza e spirito di servizio, dove il valore emerge per ciò che è. Numerose le sue realizzazioni, presenti in ogni continente e attualmente con progetti in 12 Paesi e 6 fusi orari diversi. Lo ha dimostrato anche recentemente con il progetto di illuminazione per il Frick Museum di New York, realizzato con l’architetta Annabelle Selldorf e celebrato anche dal The New York Times, così come alla National Gallery di Londra, per il gruppo LVMH e l’Architetto Peter Marino, gli hotel Four Season o Belmond, per menzionarne solo alcuni, oltre ai molteplici clienti privati i cui nomi, spesso, non possono nemmeno essere divulgati.
Oggetti in vetro raffinati e tecnicamente complessi, che parlano con voce sommessa ma inconfondibile. “Semplice non vuol dire facile”, ha detto. E in quella frase c’è tutta la sua riflessione, professione e la sua poetica. La sua opera oggi è intrecciata con quella di due missioni così legate fra loro: Seguso Vetri d’Arte, che rappresenta da sempre come referente della storica azienda di famiglia riconosciuta in tutto il mondo la cui tradizione risale al 3 maggio 1397, con opere presenti dal Vaticano a Case Reali e in oltre 100 musei in tutto il mondo; e Murano Puro, che è al tempo stesso società, visione e promessa. Murano Puro è un progetto di aggregazione, un’idea di autenticità condivisa. È un invito ad alzare l’asticella, a tornare a un fare consapevole e profondo, rigoroso, appassionato. Un fare che non cerca riflettori, ma senso. Che inventa e custodisce. Che non semplifica, ma chiarisce. È una squadra unita nel sogno e nel coraggio di rialzarsi sempre.
Pierpaolo è consapevole che portare avanti un nome come il suo comporta una doppia responsabilità. Da un
lato, l’onore di una storia straordinaria di cui non rivendica meriti e di cui si sente temporaneo custode. Dall’altro, la necessità di trasmettere le giuste aspettative a chi guarda da fuori. “In un mondo che esalta l’apparenza io non posso permettermi mai un bluff”dice. Per questo calibra ogni parola, ogni segno, ogni gesto. Perché ogni cosa, se fatta bene, parla da sé.
La stagione che sta vivendo è quella della piena maturità, di chi ha imparato ad amare ciò che fa, giorno dopo
giorno, con sofferenza e responsabilità. Non per destino, ma per scelta. “Perché lo fai?”, gli ho chiesto. E lui ha risposto con una sintesi disarmante: “Perché posso”. Una risposta semplice, appunto. Ma densa di tutto ciò che serve: coscienza, capacità, cura, dedizione. Come se stesse dicendo: “Se non lo faccio io, chi lo farà?”, ma senza alcun senso di obbligo, al contrario, scelta consapevole e appassionata.
In questa nuova fase, ha anche trovato il modo di parlare al mondo senza rinunciare alla propria natura. Non
ama le celebrazioni. Preferisce il gesto silenzioso, il segno inciso, il disegno fatto con il gesso sul tavolo da lavoro di ferro nero. Ma oggi sente che è giusto raccontare. Non per autocelebrarsi, ma per traghettare. Perché ciò che ha imparato — anche con fatica, anche con errori — possa diventare patrimonio vivo per altri. “Inizi a pensare di passare il testimone alle prossime generazioni, nel momento che lo prendi in mano per la prima volta” dice, e così è anche per lui, condividendo il messaggio delle sue opere monumentali, aprendosi alla collaborazione con artisti, o con il libro di appunti che sta scrivendo, nato come diario da lasciare ai suoi figli.
Non è da solo in questo cammino. Lo accompagna un gruppo di lavoro coeso, che condivide ideali e visione insieme ai fratelli, alla sorella e alla famiglia allargata, “Perché la nostra è un’impresa familiare, di famiglia e per la famiglia, dove il valore sociale va oltre il legame di sangue in un’isola che fa lo stesso mestiere da mille anni”. E in fondo, forse è proprio questo che rende possibile tutto il resto: sapere che c’è una squadra. E che ciascuno può contare sull’altro. Come in bottega. Come nello sport. Come nella vita.
Oggi, Pierpaolo Seguso non sta solo continuando una tradizione. Sta creando le condizioni perché quella
tradizione resti viva, dinamica, autentica. Con umiltà, ma anche con una voce chiara. Non per spiegare tutto. “A volte bisogna sussurrare per farsi ascoltare, la passione allora emerge, il protagonismo diventa desiderio di servizio, ed emerge il sogno di continuare a creare i vetri d’arte più belli del mondo”. Per lasciare un segno. Un segno che resta. E che invita.
#ToBeContinued
Andrea Bettini