Laura Basili e Ilaria Cecchini – L’algoritmo delle possibilità

Ilaria Cecchini e Laura Basili, fondatrici di Women at Business
Ilaria Cecchini e Laura Basili, fondatrici di Women at Business

 

Tutto è cominciato da un ritorno.
Da una telefonata ricevuta in un parco, da una frase che non lasciava spazio a fraintendimenti: “Torno a Milano, ho un’idea di cui dobbiamo parlare”. Laura Basili era rientrata dall’Inghilterra dopo quindici anni. Ilaria Cecchini, amica e prima collega, condivideva da tempo con lei un desiderio di cambiamento profondo. Bastarono due bicchieri di vino a un tavolino per trasformare quel sentire in un progetto concreto. Così è nata Women at Business.

Un’intuizione, certo. Ma anche una risposta a un bisogno tangibile e diffuso: quello di ridare spazio e voce a donne che, per scelta o per contesto, avevano interrotto il proprio percorso professionale. Ilaria parlava di sé come animata da “un’anatomia dell’irrequietezza”. Dopo anni in azienda e tre maternità, sentiva che non poteva più restare ferma. Laura, con alle spalle esperienze internazionali e una figlia, rientrava in Italia a cinquant’anni e si scontrava con un mercato del lavoro che non riconosceva il suo valore. In modi diversi, entrambe cercavano un’alternativa. L’hanno costruita.

Non era la prima volta che si trovavano a fare qualcosa da zero. Anni prima avevano condiviso l’adrenalina della start-up di Fastweb, dove avevano imparato cosa significa costruire un’impresa. Stavolta, però, era la loro. E a muoverle era una visione: usare la tecnologia per ridisegnare le regole del lavoro femminile.

Hanno preso ispirazione dagli algoritmi delle app di dating. Se due persone possono incontrarsi per affinità sentimentali, perché non provare lo stesso meccanismo per far incrociare talenti e aziende? È nato così un algoritmo proprietario, pensato per restituire possibilità, non illusioni. A ogni profilo corrisponde un livello di compatibilità. Più il match è alto, più le possibilità sono concrete. Se è basso, è un’occasione per comprendere cosa manca — e colmare il gap.

Come è successo, ad esempio, a una ex commessa che durante il lockdown ha frequentato un corso gratuito di programmazione chatbot. Ha offerto il suo servizio ai negozi del quartiere, li ha aiutati a rimanere in contatto con i clienti, e oggi lavora nel customer care di una piccola impresa. Prima riceveva solo rifiuti. Oggi ha riscritto la sua storia.

Oggi Women at Business è una community di oltre 14.500 donne, in continua crescita, che hanno deciso di rimettersi in gioco. Senza investimenti pubblicitari, solo grazie al passaparola e alla forza del bisogno che intercetta. Ad affiancarle ci sono più di 50 aziende clienti, oltre 100 partner nell’Alleanza per la Parità di Genere e, oltre 150 corsi di formazione gratuiti, pensati per rafforzare le competenze più richieste nel mercato del lavoro. I match generati superano quota 10.000 e le posizioni attualmente aperte sono più di 300: numeri che raccontano non solo la vitalità del progetto, ma la sua capacità di incidere concretamente sulla realtà.

La piattaforma non si limita a connettere: offre percorsi formativi gratuiti in collaborazione con partner come IBM, GoGenerali, Fondazione Mondo Digitale, Telethon e altre realtà che credono nel valore dell’inclusione. Ogni donna può iscriversi, formarsi, capire dove si trova rispetto al mercato e prepararsi a un nuovo inizio.

Il tutto con rispetto assoluto della privacy. L’azienda non conosce i dati della candidata se non dopo l’accettazione di un match. E la donna può decidere tempi, modalità, persino il tipo di impiego — in presenza, da remoto, part-time o full-time. Libertà e centralità.

Non sono un’agenzia per il lavoro. Sono un ecosistema digitale che vuole cambiare la cultura del lavoro, partendo dalle competenze e dalla consapevolezza. “Ci chiamavano idealiste, ma a noi piace calare i sogni nella realtà”, raccontano. Lo hanno fatto anche con l’app mobile, sviluppata con il supporto di TIM, che permette di accedere ai servizi direttamente dal telefono. Perché è lì che oggi passa il futuro.

Con il tempo, anche il loro approccio è cambiato. Se all’inizio l’attenzione era tutta sulle donne, oggi la consapevolezza è più ampia: il vero cambiamento nasce dal dialogo. “Senza uomini non si va da nessuna parte”, dicono. E lavorano proprio per costruire alleanze, contaminazioni, reti ibride in cui tutti si sentano coinvolti. Un esempio? Gli uomini che oggi partecipano attivamente ai loro eventi. O le aziende che chiedono di aderire al progetto dopo aver compreso che inclusività e performance non sono mondi separati.

Ogni azienda, però, ha bisogno del suo tempo. Ogni cultura va coltivata. “Addomesticare”, come nel Piccolo Principe. È un lavoro lento, quotidiano. Ma necessario.

E per Laura e Ilaria, questo cambiamento culturale parte anche dalla dimensione più intima: quella familiare. C’è chi, come Ilaria, ha cresciuto da sola tre figli, trasformando ogni difficoltà in energia creativa. E chi, come Laura, ha potuto contare sul sostegno di un compagno che ha accettato, con amore e ironia, i turni di pizza durante le notti di lavoro.
“Siamo madri – raccontano – e forse è proprio questo che ci ha rese ancora più determinate. Perché il futuro che immaginiamo non è solo per le donne di oggi, ma anche per i figli e le figlie che verranno. Maschi e femmine. Tutti devono avere le stesse possibilità”.

“Abbiamo capito che non possiamo salvare da sole 14.500 donne. Ma possiamo creare legami, connessioni, possibilità. E questo ci basta”, dicono oggi Laura e Ilaria. Con lo stesso entusiasmo del primo giorno. Anzi, forse anche di più. Perché la fame di possibilità, quando si condivide, diventa movimento. E il movimento, a volte, sa cambiare le cose.

#ToBeContinued
Andrea Bettini