Il Business Plan può avere un'anima?

Il business plan può avere un'anima?
Sembra un ossimoro. Cosa c’entrano le storie con i numeri? Perché servono dati, analisi, flussi e puntuali stime. C’è un’idea da valutare e un piano di sostenibilità da avvallare. Tutto corretto, fino a che però non viene accennato ad un altro aspetto. Questo si chiama anima di un progetto. Non è una visione filosofica del business, ma il terzo pilastro sul quale poggia. Un’idea deve essere innovativa, finanziariamente sostenibile e capace di coinvolgere a livello di empatia chi deve investirci del denaro. Con queste premesse mi appresto ad entrare nell’aula del prof. Giuseppe Pasciuti.
 
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Alla Fondazione CUOA sono quasi le 12. Ancora un paio d’ore e il corso “Il piano e le metriche di marketing” del docente Pasciuti terminerà. Giuseppe, per i più “Pino”, è da un conoscenza tanto recente, quanto intensa. Ci siamo visti la prima volta un paio d’anni fa. Amici in comune ci segnalavano rispettivamente che dovevamo conoscerci. L’incontro è avvenuto in una giornata settembrina in una Treviso raggiante. Lui si era presentato come “The Marketing Therapist”. Io come “Storytelling Specialist”. Da allora è nata un’amicizia, ma soprattutto una reciproca stima professionale. È lui che mi ha voluto oggi in quell’aula. Ho pure la possibilità di vederlo “in azione” prima che mi passi la parola. Pochi minuti, sufficienti però per capire ancora una volta la differenza tra l’essere un professore e l’essere una risorsa. Lui è la seconda. Per come trasmette i concetti. Con chiarezza, precisione e con quella innata capacità di catturare l’attenzione e suscitare l’interesse su ciò che dice.
 
Dopodichè faccio partire la mia presentazione, ma soprattutto lascio spazio alle parole. L’inizio è di quelli destabilizzanti. Parlare di narrativa, dove fino a qualche istante prima erano le metriche di misurazione di un piano di marketing i protagonisti, non è banale. Ma basta contestualizzare lo scenario di riferimento per vedere che la curiosità prende il sopravvento sul senso di smarrimento sui visi degli studenti/imprenditori di fronte a me. È così che dopo una breve introduzione allo storytelling prima e al corporate storytelling dopo, mi soffermo su quello che vuole essere il tema di quella mia testimonianza: “Il business plan può avere un’anima?”.
 
Per rispondere a questo interrogativo, accompagno gli “alunni” a vivere due storie, apparentemente molto diverse tra loro, ma che hanno origine da un’esigenza comune, quella di ottenere dei soldi. I protagonisti sono un giovane startupper e un altrettanto giovane imprenditore. Due situazioni differenti ambientate in due contesti agli antipodi. L’obiettivo è quello di mettere insieme due situazioni dove spesso e volentieri, solo la prima gode di una forte attenzione mediatica. Start up è cool. Peccato che ci sia, chi un’azienda già ce l’ha, già ben avviata da diversi anni, ma ugualmente ha bisogno di finanziamenti per re-investire nell’impresa medesima.
 
Ma ciò che più che mi preme di questo mio intervento è un altro aspetto. È quello di sottolineare attraverso queste due storie, come entrambi i protagonisti abbiano raggiunto i risultati sperati, attraverso la strutturazione di una presentazione che fosse in grado di trasferire, al di là del valore dell’idea e dei soldi necessari per la sua realizzazione, il senso di grandiosità, di entusiasmo e di passione della quale è pregna.
 
Ancora una volta si tratta di rendere tangibili aspetti che non lo sono. Ancora una volta si tratta di non limitarsi a chiedere “ho bisogno di soldi”, ma di trasferire le motivazioni più profonde che sono all’origine di un sogno concreto che va sotto il nome di impresa. Quella impresa che porterà tutti coloro che vi parteciperanno alla realizzazione di un valore economico, ma pure sociale e collettivo.
 
Dopo aver descritto nel dettaglio come hanno applicato strategicamente la tecnica narrativa i due protagonisti alle loro presentazioni, vado a rispondere all’interrogativo principe della giornata “Il business plan può avere un’anima?” e lo faccio con la successione delle seguenti slide:
Il business plan può avere un'anima? slide 1
Il business plan può avere un'anima? slide 2
Il bussines plan può avere un'anima? slide3
Il business plan può avere un'anima? slide4
Il business plan può avere un'anima - slide 5
Il business plan può avere un'anima - slide6
Mi fermo qui. Guardo prima gli occhi degli “studenti/imprenditori” che di lì a qualche mese dovranno anche loro presentare la loro idea di business. Brillano. Poi mi soffermo sullo sguardo del prof. Pasciuti. Gli strappo un sorriso. Inizia un interessante confronto. Lo spunto è stato colto. Si susseguono domande. Si dà inizio a nuove storie.
 
Arrivederci Pino. Arrivederci ragazzi e in bocca al lupo affinché possiate scrivere nuovi entusiasmanti capitoli della vostra storia d’impresa.
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P.S. L’immagine utilizzata per la copertina della presentazione effettuata agli studenti/imprenditori del Master MBA della Fondazione CUOA non poteva che essere la copertina di questo blog. Grazie ancora ad Alfredo Montresor per lo scatto realizzato.
P.S.2 I protagonisti delle due storie citate durante la presentazione, fanno parte di uno dei capitoli del libro “Non siamo mica la Coca-Cola, ma abbiamo delle belle storie da raccontare” edito da FrancoAngeli e in uscita il prossimo 8 aprile.