Saverio Perissinotto – Il capitale della diversità

Saverio Perissinotto, Presidente di Eurizon Capital SGR
Saverio Perissinotto, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Eurizon Capital SGR

 

Non tutte le traiettorie iniziano con un piano. Alcune hanno la forma di un invito gentile a spostare lo sguardo un po’ più in là, oltre la laguna e oltre i confini della consuetudine. Per Saverio Perissinotto – veneziano DOC, premiato dell’Università Ca’ Foscari lo scorso settembre come Alumnus alla Carriera – quell’invito arrivò presto: un padre medico, severo e affettuoso a modo suo, che gli trasmise l’idea che si può restare fedeli alle radici solo se si accetta di andare lontano. Prima Parigi, poi — quasi un “balzo quantico” — Giacarta. Nella tasca, più che mappe, una bussola: la curiosità.

A Parigi muove i primi passi nella banca d’investimento Banque Indosuez, imparando a leggere i numeri come si leggono i volti: bilanci, conti economici, società quotate. Consiglia di comprare, vendere, attendere. È un mestiere analitico, ma già lì si intravede una qualità diversa, che non sta nelle formule: la capacità di tenere insieme i pezzi, di fare sintesi.

Quando chiede di poter girare il mondo, qualcuno gli fa notare che non è ancora “abbastanza senior” per guidare, né “abbastanza specialista” per essere spedito in missione. Eppure nove mesi dopo gli propongono l’Asia. Giacarta. Sulla carta un rischio, nella vita un apprendistato.

Prima di partire, un incontro che diventa chiave di lettura del suo percorso: un manager francese, divenuto poi amico e mentore, gli dice che, se tornerà “vivo” da quell’esperienza, avrà costruito il suo capitale di diversità. In un’epoca in cui quasi tutti hanno studi simili, lingue simili, ambizioni simili, ciò che fa la differenza è ciò che ti rende un po’ diverso. Non un trofeo, una postura: collegare mondi, movimenti, culture. È un lascito che Saverio custodirà a lungo, e che riaffiora ogni volta che, nella vita, si trova davanti a un bivio.

Giacarta sono gli anni delle telefonate lente, dei fax, dei tempi lunghi. Progetti complessi in un Paese in trasformazione. È anche il luogo dove l’idea di “capitale di diversità” smette di essere un concetto astratto e si traduce in esperienza viva: imparare a decidere lontano da casa, a tenere il timone quando la rotta non è tracciata.

Poi il rientro a Parigi e l’approdo nella gestione dei patrimoni — quello che oggi chiameremmo wealth management — con il gusto di costruire dal piccolo, quasi artigianalmente: prodotti, team, relazioni. Infine Milano, a metà anni Novanta, per far crescere in Italia l’attività di private banking di Crédit Agricole Indosuez, che allora era soprattutto visione e fiducia. È un passaggio quasi imprenditoriale dentro l’industria finanziaria: pochi strumenti, tante responsabilità.

Da lì in avanti, il cammino si allarga. Incontra nuovi soci, attraversa fusioni, cambia insegne. Con l’intuizione del banchiere e la pazienza dell’allenatore, scala un perimetro più grande: prima il ruolo di numero due, poi, con la nascita della banca unica e la divisionalizzazione, la direzione generale del private banking di Intesa Sanpaolo.

È la stagione in cui affina un’idea di leadership che non coincide con la somma delle competenze. Nel mondo regolato della finanza, dice, “c’è sempre qualcuno che ne sa un po’ più di te su un dettaglio: il punto è saper orchestrare, evitare le buche nella strada, tenere la fiducia viva”.

Chi lo ha affiancato nel tempo ricorda il suo arrivo alla guida operativa di Eurizon nel pieno della pandemia: la sofferenza più grande non era la volatilità dei mercati, ma la distanza forzata dalle persone. Aveva bisogno di toccare con mano la realtà, di incontrare i colleghi, di guardare negli occhi. Altri, che ne hanno condiviso più stagioni professionali, parlano di una coerenza che si è composta per accumulo: esperienze diverse, poi allineate dentro una visione ampia del wealth management. Come se ogni tappa avesse preparato la successiva, senza cambiare il passo.

Nel 2020 arriva la prova più complessa: prendere per mano l’asset management in un tempo di incertezze. Tassi che risalgono, reti commerciali che spingono altri strumenti, integrazioni tecnologiche delicate, operazioni industriali da ricondurre a un disegno unitario.

Il 1° luglio 2021 diventa efficace la fusione con Pramerica SGR (ex UBI), che Eurizon integra nei propri sistemi e piattaforme. È qui che la sua bussola torna a indicare nord. “Il pesce profuma — o puzza — dalla testa”, ama ripetere. Non è una battuta: è un programma manageriale. Porta aperta, ascolto, risposte chiare. Nel giro di pochi anni, risultati molto positivi nelle indagini di clima interne al Gruppo, in netto miglioramento rispetto al 2019. Non un numero da presentare agli analisti, piuttosto un segnale: quando la cultura tiene, il resto segue.

Il passaggio successivo è naturale, quasi un ritorno al respiro lungo: nell’aprile 2024 diventa Presidente del Consiglio di Amministrazione di Eurizon Capital SGR, nell’ambito della riorganizzazione delle attività di Wealth Management del Gruppo Intesa Sanpaolo. È l’esito di un’evoluzione che aggrega competenze affini; per lui è anche l’occasione di allargare ancora lo sguardo, di rimettere a fuoco il nesso tra performance e responsabilità, tra strategia e senso. Un approdo coerente, frutto di un cammino costruito nel tempo, più che di un titolo conquistato.

Dentro questa traiettoria, l’uomo rimane. Non il protagonista di copertina — “sono sempre dalla parte di chi ha fuoco”, dice con understatement veneto — ma quello che costruisce ponti di fiducia e pretende prima da sé ciò che chiede agli altri.

Alla domanda su che consiglio darebbe a un ventenne di oggi, esce una risposta non nostalgica: “Non rincorrere il manager a tutti i costi, esplora le strade nuove che la tecnologia apre, coltiva una fame buona, capisci dove davvero puoi riuscire”. Il tema non sono solo le competenze — necessarie, ovvio — ma la vocazione concreta: trovare l’incastro tra ciò che sai fare e ciò che serve, in quel punto in cui lavoro e vita iniziano a parlarsi.

E poi c’è il padre. Figura presente anche quando tace. Da ragazzo Saverio lo percepisce austero, direttivo; da adulto la relazione cambia tonalità, si fa più pari, più semplice. Non servono dichiarazioni solenni: bastano un sorriso trattenuto, una pacca sulla spalla, quelle cose minime che dicono più delle parole. Chissà se, guardando questo percorso da un altrove che non vediamo, il padre non sorrida dell’evoluzione del figlio: lo sguardo largo, l’etica discreta, la cura per le persone.

A conti fatti, in quarant’anni di lavoro Perissinotto ha fatto soprattutto questo: ha dato forma a un capitale di diversità e lo ha trasformato in pratica quotidiana. Ha tenuto insieme mondi (Parigi e Venezia, Giacarta e Milano), mestieri (l’analisi e la direzione, il private e l’asset management), linguaggi (il numero e la parola). E ha portato nel cuore di un’industria misurata in punti base un’idea semplice e impegnativa: che la fiducia non è una variabile esogena, ma un bene da produrre ogni giorno.

Se si prova a riassumere, la storia di Saverio Perissinotto non è quella dell’uomo che “è arrivato”, ma di chi ha continuato a partire. Ogni volta un passo oltre, ogni volta un po’ più in là. Con la stessa bussola di sempre: la curiosità come destino, la responsabilità come mestiere, le persone come misura.

#ToBeContinued
Andrea Bettini