Rita Elvira Adamo – Dove il margine diventa senso

Rita Elvira Adamo, Co-Founder La Rivoluzione delle Seppie
Rita Elvira Adamo, Co-Founder La Rivoluzione delle Seppie

 

Ci sono luoghi che ti restano addosso come una seconda pelle, e altri che ti insegnano a respirare. Rita Elvira Adamo li abita entrambi. Cosenza e Londra. Calabria e Inghilterra. Radici e orizzonti. Una doppia anima che non si esclude, ma si accoglie. È in questa tensione, in questo spazio di mezzo, che Rita ha trovato la sua direzione: fare dell’architettura un gesto politico e della progettazione uno strumento per costruire comunità.

Classe 1990, Rita è architetta, ricercatrice e docente alla London Metropolitan University. Ma è soprattutto una donna che ha scelto di tornare. Dopo 15 anni in Inghilterra, ha lasciato Londra per rientrare in Calabria, e non per nostalgia. “Me ne ero andata perché mi sentivo stretta, non riconosciuta. Ma poi ho sentito il bisogno di riportare qui quello che avevo imparato fuori. Di rimettere insieme i pezzi, con un altro sguardo”.

Quel rientro è stato tutto tranne che semplice. Perché tornare nei luoghi che ti hanno formato significa fare i conti con conflitti, limiti, contraddizioni. Ma anche con un desiderio profondo di trasformazione. È da lì che nasce, nel 2016, La Rivoluzione delle Seppie: un progetto, un collettivo, un’idea radicale di abitare.

Tutto comincia quasi per caso, con una residenza estiva a Belmonte Calabro, piccolo borgo affacciato sul Tirreno cosentino. Rita e alcuni colleghi universitari decidono di trascorrere lì una settimana per riflettere sul proprio ruolo di architetti. Nessun programma definito, nessuna committenza. Solo la voglia di esplorare, di condividere, di contaminarsi. È un incontro con il territorio e con le sue fragilità: lo spopolamento, la marginalità, la migrazione. Ma anche con le sue potenzialità. “Era uno di quei posti che puoi comprendere davvero solo mettendoci le mani, lavorandoci dentro.” Come scriveva Sottsass, “c’è un posto dove provare, insieme, a fare cose con le mani o con le macchine…, non come boy scout… neanche come artisti, ma come uomini con braccia, gambe, mani… e farle…”. A Belmonte, l’architettura tornava a essere uno strumento di relazione e presenza, qualcosa che si impara facendo — insieme.

Forse però il seme era stato piantato molto prima. Quando da bambina, a Cosenza, passava interi pomeriggi nello studio di un’architetta che abitava nel suo stesso palazzo. “Lei dice sempre che sono diventata architetta perché stavo lì con lei, a guardarla lavorare”, ricorda Rita. Una suggestione che ha lasciato il segno, un anticipo di quella vocazione a fare dello spazio un atto sociale.

Nel tempo, La Rivoluzione delle Seppie è diventata un ecosistema: un iper-collettivo transdisciplinare, un laboratorio permanente di co-progettazione e coabitazione. Uno spazio dove studenti, ricercatori, artigiani, migranti e abitanti si incontrano per costruire insieme, imparare facendo, vivere condividendo. “La nostra idea di architettura non è legata alla forma, ma alla relazione. Non è ciò che si vede, ma ciò che si genera.”

Il cuore pulsante del progetto è la Casa di BelMondo, una ex casa delle monache trasformata in luogo di condivisione, di sperimentazione e di riattivazione. Qui si tengono workshop, residenze, costruzioni partecipate. Qui si cucina, si discute, si lavora con le mani e con le idee. “Una casa dove puoi essere come sei, dove la diversità non è un problema ma una risorsa”, dice. “È questo che ci interessa: creare spazi in cui le persone possano sentirsi libere. Davvero.”

Eppure, tutto questo sarebbe potuto finire. Nel 2018 Rita si ritrova davanti a un bivio: accettare un lavoro stabile o continuare a portare avanti quel progetto nato quasi per gioco. Decide di iscriversi al dottorato solo per poterlo consolidare, per dargli una forma e un respiro accademico. “Non avevo mai pensato di fare un PhD, ma era l’unico modo per non farlo crollare. In quel momento ho capito che non si poteva tornare indietro.”

Oggi La Rivoluzione delle Seppie è riconosciuta a livello internazionale, ma per Rita il vero successo sta altrove: “Stiamo finalmente creando un gruppo stabile, locale. Persone del posto che prendono in mano il progetto, che lo fanno loro. Questo è il mio sogno: che non serva più la mia presenza perché il progetto viva di vita propria.”

Qualcuno, tempo fa, è arrivato a Belmonte da fuori e ha detto che lì, in quel piccolo paese abbarbicato sul mare, stava nascendo un “milieu”. Una di quelle isole di senso che forse, un domani, potrebbero resistere al collasso. Luoghi in cui la vita non viene soltanto protetta, ma immaginata di nuovo. Rita sorride quando lo racconta, con un misto di tenerezza e pudore. Ma sa che quelle parole, in fondo, parlano anche di lei.

La sua è una narrazione fatta di resistenza gentile e visione profonda. Un gesto lento, collettivo, poetico. Un modo per dimostrare che sì, si può scegliere di restare. E che, a volte, è proprio nel margine che si può trovare il nuovo centro.

 

Ph. Credits: Giulia Rosco

#ToBeContinued
Andrea Bettini