
Nessun rumore. Nessun impatto visibile. Solo piccoli droni che, muovendosi silenziosi sotto la superficie ghiacciata, portano acqua dove serve, per aiutare la natura a fare il suo corso. È una tecnologia discreta, quasi invisibile. Ma dietro a questa semplicità si cela una delle sfide più ambiziose del nostro tempo: proteggere l’Artico per rallentare la crisi climatica globale.
Alla guida di questo progetto c’è Andrea Ceccolini, CEO di Real Ice, una startup britannica che ha deciso di affrontare una delle emergenze più complesse del pianeta con uno sguardo umano e una visione sistemica, dove la scienza, l’etica e il rispetto per le comunità locali si intrecciano con la concretezza della tecnologia. Ma per capire fino in fondo questa storia bisogna fare un passo indietro. O forse più di uno.
Andrea si trasferisce a Londra nel 1998, al termine di un’esperienza professionale iniziata l’anno prima con Salomon Brothers. Dopo diciotto mesi di lavoro su un progetto innovativo, prende forma l’idea di trasformarlo in una startup e Londra, crocevia finanziario e tecnologico, diventa il punto di partenza. Andrea è giovane, determinato, animato da una mente razionale e una passione profonda per la tecnologia. In pochi anni diventa co-fondatore di Ion Trading, una delle prime realtà europee nel mondo della financial technology. Il successo è travolgente: clienti come UBS, Morgan Stanley, Citigroup adottano le sue soluzioni per digitalizzare i mercati obbligazionari. L’Italia, in quell’epoca, è sorprendentemente avanti nella gestione elettronica del debito pubblico. E Andrea – pur partito in sordina – si ritrova a insegnare a Wall Street come fare trading.
Ma dentro quel vortice di efficienza e algoritmo, qualcosa si incrina. Dopo vent’anni in un mondo che lo ha formato ma anche prosciugato, Ceccolini decide di fermarsi. È il periodo della pandemia. Vive con i suoi tre figli adolescenti. L’ansia climatica si fa sentire in casa, tra notizie fosche e un senso diffuso di impotenza. Andrea reagisce con l’unico strumento che conosce bene: la conoscenza.
“Ci siamo messi al tavolo a studiare. Abbiamo scritto insieme un piccolo manuale sulla transizione energetica, per ritrovare fiducia e capire che qualcosa si può fare davvero”. È così che Andrea incrocia il percorso di Real Ice. La startup era stata fondata da poco da un suo ex collega, che lo chiama a guidarla riconoscendo in lui la persona giusta per affrontare una sfida di portata globale. Andrea accetta, convinto che il suo bagaglio tecnologico e la sua passione per l’ambiente possano davvero fare la differenza. Dopo mesi di studio sul clima, individua nell’Artico uno dei punti di rottura più critici per il futuro del pianeta.
Il ghiaccio marino che si scioglie non solo riflette meno luce solare, ma accelera processi irreversibili legati al permafrost, ai ghiacciai della Groenlandia e al rilascio di metano. Preservarlo – o meglio, aiutarlo a ricrescere – diventa la missione.
L’idea è semplice quanto geniale: pompando piccole quantità di acqua marina sopra il ghiaccio già formato a inizio inverno, si accelera il processo di congelamento e si crea uno strato aggiuntivo resistente al caldo estivo. Ma farlo su scala artica richiede un salto tecnologico. E qui entra in gioco tutto il bagaglio di Andrea.
La soluzione proposta è radicale: usare droni subacquei autonomi, economici, modulari, in grado di muoversi a 5 metri sotto la superficie – dove l’ambiente è stabile e non ostile come sopra il ghiaccio – per pompare acqua e costruire spessore. Il modello di riferimento? Quello dei mercati digitali e della transizione energetica: piccoli nodi distribuiti, ridondanti, scalabili. Come i pannelli solari o la rete Internet.
Nonostante la visione, la strada non è semplice. “C’è ancora molta diffidenza verso il climate engineering”, racconta. “Anche tra gli scienziati. Ma oggi sappiamo che la sola decarbonizzazione non basta. Serve fare di più. Subito”.
Dopo un primo test in Alaska, nel 2023, Real Ice trova casa a Cambridge Bay, nell’estremo nord del Canada. Lì, Andrea costruisce un legame profondo con le comunità Inuit, coinvolgendole attivamente nella sperimentazione e nella raccolta dati. Non solo per rispetto, ma perché crede che non ci si salvi da soli. L’esperienza sul campo – tra tende, sorrisi appena accennati e storie sussurrate – lo trasforma.
“Ogni viaggio lì mi riempie il cuore. Ogni sguardo, ogni gesto, ogni parola ha un peso specifico altissimo. Hanno vissuto per millenni in equilibrio con un territorio ostile. Ora il nostro mondo arriva all’improvviso e spezza tutto”.
La narrazione che porta avanti è anche sociale: parlare di ghiaccio significa parlare di identità culturale, di giovani alle prese con un futuro incerto, di comunità che rischiano di scomparire. E questo, per Andrea, è forse il motore più autentico della sua tenacia.
Oggi Real Ice è sostenuta da partner scientifici come il Center for Climate Repair dell’Università di Cambridge e ha ricevuto uno dei finanziamenti più significativi nell’ambito del programma Artico promosso dell’agenzia britannica ARIA. Il modello è pronto per essere testato su scala più ampia e potrebbe diventare, in futuro, la base per un fondo globale per la salvaguardia dell’Artico, come già esiste per le foreste tropicali.
Quando gli chiedi che futuro immagina per i suoi figli, Andrea risponde con una lucidità disarmante:
“Servirà tanta educazione e tanta pazienza. I segnali di miglioramento arriveranno molto prima dei frutti. Ma se lavoriamo insieme – stati, imprese, scienza, persone – possiamo rallentare questa corsa. E forse invertire la rotta”.
Alla fine, gli chiedi chi è Andrea Ceccolini. Lui si definisce un sognatore razionale. Ma ascoltandolo parlare, viene da pensare che sia soprattutto un costruttore di ponti: tra mondi lontani, tra tecnologia e natura, tra generazioni, tra disperazione e speranza.
Sottozero. Ma con il cuore caldo.
#ToBeContinued
Andrea Bettini