Monica Lucarelli – L’arte di tenere insieme

Monica Lucarelli, Assessora alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità
Monica Lucarelli, Assessora alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità di Roma Capitale

 

Chi è Monica Lucarelli? A sentirla rispondere, verrebbe da dire semplicemente: una persona curiosa. Ma in quella parola si riflette molto più di una predisposizione caratteriale: c’è un’attitudine alla vita, un modo di attraversare il mondo – dentro e fuori le organizzazioni – che si nutre di domande, di cambiamenti, di sguardi nuovi.

Ingegnera meccanica con una sensibilità fortemente umanistica, ha lavorato in grandi aziende e piccole realtà, lasciando l’impresa di famiglia per dedicarsi per mesi al volontariato con Amnesty International. Poi la consulenza, poi ancora il settore privato. E infine, quasi per caso, la politica: oggi è Assessora alle Attività Produttive e alle Pari Opportunità del Comune di Roma. Un doppio incarico che, a uno sguardo esterno, potrebbe apparire come una contraddizione, ma che in realtà è il cuore di una visione precisa: «Senza pari opportunità non c’è sviluppo. Né economico, né sociale. Perché quando rinunci al 50% dei talenti, perdi un’opportunità».

La sua è una politica fatta di concretezza. Non ama le luci della ribalta né i proclami. Preferisce il lavoro silenzioso, quello che si misura nel tempo, negli atti, nelle trasformazioni vere. E proprio per questo, uno dei suoi primi obiettivi è stato quello di portare Roma Capitale – con i suoi 25.000 dipendenti – alla certificazione parità di genere. La prima amministrazione pubblica in Italia a riuscirci. Un percorso ambizioso, accolto all’inizio con scetticismo persino dal Ministero. «Mi hanno detto che ero matta. Ma io volevo una certificazione vera. Non un’etichetta, ma un impegno reale». A certificare il processo è stato il RINA, ente di riferimento a livello internazionale. Ma il risultato più importante non è stato il bollino. È stata la consapevolezza: «Le persone si sono accorte, per la prima volta nero su bianco, di quanto già facevano. Ma non lo sapevano. È lì che ho visto l’orgoglio».

Monica ama lavorare sulle fondamenta. Lo dimostra anche la progettazione delle Case dell’Innovazione, nate per accelerare startup e promuovere formazione digitale. Il primo hub è stato avviato nel 2022 con il coinvolgimento delle università romane, di aziende e acceleratori. Ma non si è fermata lì. Il progetto sta ora per espandersi in tre aree strategiche di rigenerazione urbana – Tor Bella Monaca, Santa Maria della Pietà, Corviale – e potrà continuare anche dopo la fine del mandato, grazie a fondi europei già acquisiti. «Non volevo qualcosa che finisse con me. È un po’ come quando fai un figlio: non per te, ma perché possa vivere anche senza di te».

Nel suo sguardo c’è un fastidio profondo verso le polarizzazioni. L’impresa contro il pubblico, il digitale contro l’umanesimo, il Nord contro il Sud. «Sono stanca dei dualismi. Invece di dividerci, potremmo scoprire quanto ci assomigliamo». Per questo uno dei tratti distintivi della sua azione è stato costruire ecosistemi di collaborazione: con aziende, associazioni, enti del terzo settore, movimenti per i diritti. Un dialogo costante, mai di facciata, che crede nella partecipazione vera, non nei verbali da allegare a una delibera.

La sua è una politica fatta anche di pause, di silenzi, di ascolto. «La musica, se fosse fatta solo di suoni, sarebbe un unico rumore. Sono le pause a dare il ritmo. Così è anche nella vita». E in un tempo in cui tutti sembrano cercare visibilità, Monica ha scelto la sostanza. Ha scelto la coerenza. «Chi mi conosce nel privato mi ritrova nel pubblico. Non porto maschere. E se dico una cosa, cerco di farla. Per me questa è la base».

Il suo ruolo di madre – tre figli, dialogo aperto ma autorevolezza mantenuta – si intreccia con tutto questo. «Non siamo amici, io sono mamma. Ma a casa si parla, molto. Se leggessero questo racconto e trovassero qualcosa di diverso da ciò che vedono ogni giorno, sarebbe un problema. Vorrebbe dire che ho sbagliato qualcosa». E se un giovane, leggendo tra le righe, cercasse un messaggio? «Di non aver paura di cambiare, di mettersi in discussione. Di dubitare. Perché chi va avanti solo per certezze, spesso è quello da cui guardarsi di più».

Alla domanda finale – “cosa vuoi diventare da grande?” – risponde con il sorriso di chi ha capito che la vita non si pianifica come un’agenda: «Non lo so. Ma spero di continuare a essere curiosa. Perché finché sarò curiosa, vorrà dire che sarò ancora giovane dentro».

#ToBeContinued
Andrea Bettini