
I 4 Fondatori di Kampaay (da sx Stefano Brigli Bongi CRO, Daniele Arduini CEO, Enrico Berto CPO e Marco Alba CFO)
Succede così, a volte. Un’idea che resta chiusa in un cassetto per anni, fino a quando arriva il momento giusto per aprirlo. È quello che è accaduto a Stefano Brigli Bongi e ai suoi tre soci (Daniele Arduini, Marco Alba ed Enrico Berto), tutti ingegneri con esperienze diverse alle spalle, ma con un desiderio comune in testa: fare impresa.
L’occasione è nata per gioco, organizzando la festa di laurea di uno di loro. È lì che hanno intuito quanto fosse ancora complicato – anche nell’era digitale – organizzare un evento in modo semplice, trasparente, fluido. Quella scintilla si è accesa e ha trovato la sua fiamma anni dopo, quando tutti si sentivano finalmente pronti. È così che è nata Kampaay, una scaleup italiana fondata nel 2020 con l’ambizione di rivoluzionare il mondo degli eventi aziendali.
Un settore tradizionalmente frammentato, gestito con mille fogli Excel, telefonate, email sparse. Un settore che sembrava non avere spazio per l’innovazione – e forse proprio per questo rappresentava un oceano blu da esplorare. I quattro co-founder hanno scelto di partire da lì e di farlo con il loro approccio ingegneristico: strutturare ciò che non lo era, portare visione sistemica e semplicità operativa in un ambito percepito come caotico.
Ma c’è un dettaglio che rende questa storia ancora più interessante: l’idea di Kampaay non è nata in un giorno. È il risultato di anni di esperienza, confronti, intuizioni archiviate in un cassetto, poi riaperte con uno sguardo nuovo. I fondatori avevano messo da parte diverse ispirazioni, in attesa del momento giusto. Quando è arrivato, hanno saputo riconoscerlo. Hanno unito i puntini, e hanno deciso di provarci.
Poi è arrivato il Covid. E con esso il momento della verità. Kampaay ha dovuto ripensarsi. Ha scelto di concentrarsi solo sul B2B, sugli eventi corporate, creando una piattaforma digitale personalizzabile e integrata capace di rispondere a un bisogno concreto delle aziende: semplificare e rendere misurabile qualcosa che, fino a ieri, era affidato all’improvvisazione.
A guidare questa trasformazione c’era anche un’altra consapevolezza, maturata strada facendo. Quella di non inseguire la crescita a ogni costo. “Crescere è importante, ma farlo in modo sostenibile lo è ancora di più”, racconta Stefano. Il loro obiettivo oggi è diventare una profitable company, capace di bilanciare ambizione e sostenibilità economica. Una scelta controcorrente nel panorama delle startup, ma che dimostra solidità e visione.
Oggi Kampaay è molto più di una piattaforma. È un partner. Un punto di riferimento. Un’agenzia del futuro che si affianca alle aziende, aiutandole a disegnare e realizzare occasioni di incontro, piccole e grandi, con la stessa cura. Dall’idea creativa alla logistica, dalla gestione dei fornitori alla produzione di contenuti, passando per un cruscotto digitale che permette di tenere tutto sotto controllo.
“Kampai!”, in giapponese, significa brindisi. Il nome l’hanno scelto non solo per l’assonanza, ma per ciò che rappresenta: quel momento speciale in cui si celebra qualcosa insieme. Oggi Kampaay è attiva in Italia e in Svezia, ha un team di 45 persone, ha organizzato oltre 2.000 eventi in un solo anno e lavora con più di 300 aziende tra cui Satispay, Verisure, Bip Italia, Qonto e Unobravo.
Nel 2024 è diventata Società Benefit, confermando il desiderio di fare impresa in modo responsabile, generando impatto positivo e valore condiviso. E lo fa restando fedele a un principio: essere per i propri clienti un partner unico, capace di affiancarli su tutto, con un supporto umano dedicato h24.
E proprio da questo equilibrio tra tecnologia e umanità nasce anche la traiettoria personale di Stefano. “Sono nato come ingegnere gestionale, oggi vivo nel mondo delle vendite e del marketing. È il bello dei percorsi non lineari: ti portano dove c’è bisogno di costruire”, racconta con semplicità. È una transizione che riflette lo spirito della startup: multidisciplinare, dinamico, aperto.
Ma forse il vero cuore pulsante di questa storia è un altro. È lo sguardo curioso di chi continua a interrogarsi, a migliorarsi, a mettere in discussione ogni dettaglio. È quella spensieratezza presente durante gli anni del Politecnico di Milano che, pur trasformata dalla responsabilità di guidare un’impresa, non è mai venuta meno. “Siamo ancora noi, con la stessa voglia di cambiare le cose”, dice Stefano con un sorriso.
E un messaggio finale, che vale la pena sottolineare. “Non veniamo da famiglie con una tradizione imprenditoriale alle spalle, né da percorsi particolarmente straordinari. Eppure stiamo contribuendo a cambiare, nel nostro piccolo, un settore intero. Se ce l’abbiamo fatta noi, può riuscirci chiunque abbia voglia di provarci”. È un invito rivolto a chi sogna di iniziare qualcosa di proprio. Ma anche a chi, dentro un’azienda, sente il bisogno di rinnovare le cose.
E allora sì, brindiamo a chi ha il coraggio di aprire i cassetti, accendere scintille e trasformarle in futuro.
#ToBeContinued