Due letture. Due temi che appaiono agli antipodi. Un unico soggetto. Infine una provocazione.
Non è stata solo la sequenzialità a farmi scattare questo pensiero. Sta di fatto che leggendo prima l’articolo a firma di Fabrizio Patti su Linkiesta intitolato “Così i centri commerciali provano a battere l’ecommerce” (leggi qui) e immediatamente dopo “Un chilo e due di esperienze, per favore – Cosa rende felice il consumatore oggi?” pubblicato dalla redazione del blog di FrancoAngeli (leggi qui), ho provato a immaginare cosa potesse legare queste due situazioni.
Se nel primo articolo si cerca d’individuare quali possano essere le controffensive da adottare dai grandi shopping center per fronteggiare un ecommerce che trova sempre più credito da parte dei consumatori, nel secondo il focus è puntato sul cambiamento di ruolo del consumatore attraverso una ricerca condotta da Fulvio Fortezza diventata un libro appena pubblicato dal titolo “Marketing, felicità e nuove pratiche di consumo”.
Ma cosa legano i luoghi del consumismo per eccellenza alle nuove pratiche di consumo come lo sharing, il baratto e l’accesso? E ancora può esistere una terza via di consumo più consapevole e meno compulsivo che porti ad un benessere economico e sociale?
A mio avviso sì e la risposta che accomuna entrambi gli interrogativi fa leva ancora una volta sullo storytelling.
Ho sempre sostenuto che l’evoluzione della narrazione applicata alla comunicazione di prodotti e servizi, sarà quella di accompagnare il consumatore fino al luogo di vendita attraverso un racconto che non finisce con i diversi media utilizzati, ma continui in loco. Questo soprattutto per ridare nuova vita a tutte quelle forme di piccolo artigianato locale e contenuti spazi di vendita che vanno sotto il nome di “botteghe”, ironia della sorte vittime sacrificali proprio di quei centri commerciali che ora stanno subendo l’avanzata dell’ecommerce. Per queste realtà localizzate soprattutto nei centri storici di città e paesi, lo storytelling live, che non è altro ciò che è sempre esistito, cioè la modalità di accogliere la propria clientela, come si accoglie un caro amico nella propria abitazione e condividendo con lui emozioni e suggestioni frutto della parola e di esperienze vissute, sarà la strada per riprendersi un’identità (e una fetta di mercato) smarrita. Questa modalità con caratterizzazioni e soluzioni strategiche di attuazione diverse può essere d’aiuto anche ai grandi competitor ubicati nelle periferie dei grandi centri urbani. Questo se e solo se lo storytelling sarà applicato non in maniera incauta come la strutturazione di un percorso obbligato che il consumatore è costretto a fare, bensì con quell’approccio che già viene adottato da musei e luoghi espositivi: accompagnare il consumatore nella visita al grande centro con la finalità di fargli vivere un momento esperenziale, sganciato (apparentemente) dalle sole logiche di stimolo all’acquisto. Eresia? No semplicemente un business intelligente. Si dice così tanto che i centri commerciali sono diventati le nuove piazze d’incontro, facciamo sì che queste piazze siano le più vicine possibili alle esigenze dell’essere umano. Dialogo, condivisione, emozioni e… storie, tante storie individuali che s’incontrano e che scrivono un nuovo racconto dato dall’essere in un luogo che stimoli lo spirito del senso di appartenenza ad una comunità attraverso l’acquisto di un prodotto o di un servizio.
Questo aspetto lo conosce bene chi ha avuto modo di approcciare gruppi di persone che hanno trovato nella rivalutazione del baratto, un momento di condivisione che va oltre lo scambio di un oggetto. Prendo come spunto di riferimento ZeroRelativo, la prima community online dedicata al riuso e al baratto online. Prendo esso ad esempio, non solo perché Fulvio Fortezza, autore del libro segnalato in precedenza, ne è soggetto professionalmente coinvolto, ma anche perché ho il piacere di conoscere il suo fondatore Paolo Severi e in passato ho fatto una serie d’interviste, di chiacchierate, con alcune delle “barter” che animano questa piattaforma. Ricordo ancora che l’elemento principale, al di là di un approccio critico ed etico nei confronti del consumo, fosse proprio quello di conoscere nuove persone e condividere con esse storie, esperienze di vita quotidiana, momenti di difficoltà e molti altri momenti di felicità.
Bene proprio queste termine, la felicità, credo possa essere protagonista di un nuovo modo, di una nuova strada, di una cosiddetta terza via che porti all’individuazione di una nuova figura di consumatore. Nella costituzione di questo nuovo profilo sarà lo storytelling la metodologia utilizzata per fornirne i ritratti salienti, ma anche per tracciarne la visione d’insieme. Un consumatore, che prima di tutto è una persona. Un consumatore che prima ancora di procedere con un atto di acquisto condivide con altri momenti di gioia. Un consumatore che in alcuni casi potrà acquistare prodotti nuovi e in altri limitarsi ad uno scambio. Un consumatore non più visto come target, ma come protagonista di un’esistenza dove il momento di acquisto è uno dei tanti momenti della sua lunga storia.
Insomma prima di capire come i centri commerciali possano limitare i danni dalla concorrenza dell’ecommerce o fissare nello sharing l’unica economia della felicità, sarebbe necessario ricontestualizzare il ruolo dell’uomo. Ancora una volta mettendolo al centro. Ancora una volta raccontando la sua, esclusiva e originale, storia.
Una provocazione? Può darsi, oppure no.