C’è una componente divulgativa dello storytelling che ha un valore aggiunto non indifferente. Si tratta del “live”. Se di per sé la lettura di una storia, la visione di un video, la visualizzazione di un’immagine fotografica, riescono ad innescare fantasie ed emozioni, la possibilità di avere di fronte un narratore che ha vissuto di persona un’esperienza (totalmente, in parte o anche solo per sentito dire), rende il tutto ancora più coinvolgente.
Basti pensare alle prime storie che si sono sentite raccontare, le favole. Il ruolo del genitore nell’esporle ai figli era e rimane fondamentale. Per non parlare delle tradizioni di molti popoli, come tra gli altri gli Indiani d’America, che si ritrovavano attorno ad un fuoco ad ascoltare i racconti dei capi tribù. Tradizione questa, presente fino a qualche decennio fa anche nella nostra civiltà contadina, dove nei cortili delle case di campagna nelle sere d’estate i più anziani catalizzavano l’attenzione dei presenti con le parole dello loro storie.
Ma tutto ciò che campo di applicazione potrebbe avere oggi ad esempio nella vendita al piccolo dettaglio? Potrebbe questa modalità di storytelling live aiutare il piccolo commerciante a vincere la battaglia con il gigante Golia impersonificato nella grande distribuzione, ma non solo? Già c’è un altro pericolo ben visibile nei centri storici di città d’arte, la concorrenza definibile dello “special price” e che trova la sua forma espressiva in negozi di souvenir o take-way di pizze e gelati, dove la qualità è un optional e la conduzione discutibilmente originale.
La risposta non solo è affermativa, ma potrebbe essere l’evoluzione di quello che oggi intendiamo storytelling e nello stesso tempo un riprendere possesso di una componente intrinseca al commerciante. La prima perché si tratterebbe non più solo di raccontare una storia, bensì di portare direttamente il cliente in un luogo di vendita ad ascoltarla. La seconda basti pensare a ciò che facevano i primi venditori che andavano nei paesi di provincia con i loro mezzI a vendere i loro prodotti, ma allo stesso tempo raccontare ciò che succedeva “nel mondo”. Oppure ognuno nella vita avrà avuto il suo venditore di fiducia. Che si trattasse del panettiere, del barista, del macellaio, chi non si è fatto trascinare dall’empatia del “bottegaio” di turno?
Senza spingerci in maniera eccessiva su livelli psicologici e spirituali, esiste un elemento differenziante, che non può essere replicato dai grandi centri commerciali o da commercianti improvvisati. Questo elemento si chiama anima. È ciò che un piccolo negoziante o un talentuoso artigiano riesce a trasferire a chi entra in relazione con lui, attraverso la sua persona, attraverso le sue parole e naturalmente, attraverso i suoi prodotti.
Prima di concludere con ciò che non vuole essere un anatema nei confronti di chi utilizza modalità di vendita differenti, bensì un tentativo di ricordare quali sono i valori che possono mettere in campo chi non può far leva sul prezzo, vi lascio con un racconto esemplificativo.
Sono le 12.30 circa di un giovedì di maggio. C’è ancora un bel po’ di gente in quello che definire un negozio sarebbe riduttivo. Siamo a Mirano, nella terraferma veneziana e in quello spazio di via della Vittoria succede qualcosa che potrebbe apparire “bizzarro”, ma che invece è la prosecuzione naturale di ciò che già stava accadendo. I fratelli Scavezzon si apprestano a portare delle panche fuori dal retrobottega in prossimità dell’orto. Su un tavolo al quale è stato fatta indossare un paio di tovaglie a fantasia, si dispongono in ordine sparso verdure, torte salate, qualche porzione di lasagna al forno, formaggi e del buon vino, dopodichè Martino, Emilio ed Andrea, i tre fratelli Scavezzon si siedono insieme ai clienti rimasti del loro negozio di biciclette ed iniziano a condividere il pasto.
L’atmosfera è la più informale possibile. Con la serranda del negozio abbassata si abbassano pure le barriere inibitorie dei presenti. Alcuni sono clienti habituè, altri sono solo di passaggio, ma questo poco conta. Quello che è invece importante sono altre cose. La passione in comune. In questo caso per le due ruote. La capacità dei “padroni di casa” di far sentire a proprio agio i presenti. C’è chi narra la sua ultima partecipazione all’Eroica, l’escursione in bicicletta nel Chianti che ha assunto i connotati della poesia paesaggistica, chi invece snocciola i tempi della sua ultima gara di downhill. Certo la bicicletta si presta ad essere raccontata, ma la differenza è lo spirito che sono riusciti a ricreare questi fratelli Scavezzon.
Alle 14, dopo il caffè fatto con la moka, il negozio riapre. Ma è come non fosse mai stato chiuso. Le professionalità diverse dei tre fratelli continuano a mantenere la loro naturalezza anche all’interno dello spazio di vendita. Non conta tanto se si è nella parte riparazioni, piuttosto che in quella espositiva degli ultimi modelli di bicicletta, l’energia, l’entusiasmo e soprattutto quella passione viene trasferita in ogni angolo di quelle quattro mura. Ci si avvicina all’area abbigliamento, con la curiosità che si avrebbe di fronte al guardaroba di casa dell’amico del cuore. E poi soprattutto le parole, le storie, continuano. Certo alla fine si arriva alla vendita, così come deve essere. È un’attività commerciale. Ma non si parte da quella. Essa è una conseguenza di una serie di fattori che hanno nelle suggestioni e nelle emozioni il loro vero punto di partenza.
Per la cronaca, questo pranzo dagli Scavezzon non è qualcosa di occasionale. È un rito che si rinnova ogni giovedì. In fondo è un momento di condivisione, di festeggiamento. Un solo suggerimento, portate anche voi delle storie da raccontare e già che ci siete anche qualcosa fatto in casa. Cibo e buon vino sono ottimi compagni di parole che si trasformano in storie.